Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
«L’uomo è ciò che mangia». Cita Feuerbarch Vito Teti nella sua introduzione a “Venerdì e Domenica” (Fondazione Carical) di Sharo Gambino, salvo poi produrre una rivisitazione attuale: «Dimmi come mangi, quanto mangi, quando mangi, con chi mangi, come ti procuri il cibo e come lo consumi e si capirà molto della tua storia personale […]». Per Gambino come per Teti del “mangiare” non è importante la funzione biologica quanto quella culturale e sociale. È qui che si consuma una sorta di critica al consumismo e che porta di conseguenza anche alla perdita di importanti fattori culturali. Il dialogo tra lo scrittore e l’antropologo rimarca ancor di più la grave perdita quando si affronta il tema del Natale. Così un Gambino nostalgico interroga l’amico Teti in una dimensione quasi fàtica del linguaggio, perché completamente conscio delle risposte che avrebbe ricevuto. In un altro libro di Gambino, “Natali ‘i na vota” (FPE, 2003), già il titolo fa da muro tra presente e passato. Il Natale è scomparso con la fine della civiltà contadina. La nascita di Gesù Bambino non era solo un momento religioso ma un evento di «Rinnovamento» soprattutto sociale. Se la festa (come sottolinea Teti ad un consapevole Gambino che dall’amico vorrebbe sentire altre risposte) si riduce alla “celebrazione della quotidianità” non è più una festa. Parlando con Salvatore Costa, dell’associazione Il Brigante, sempre prezioso nel fornire il riferimento bibliografico “giusto”, ricordiamo come nelle famiglie ogni mamma per il pranzo natalizio facesse di tutto per non far mancare “li nòvi cuosi” (le nove cose, anche se in altre parti della Calabria il numero cambia). Baccalà in bianco e fritto, le immancabili zeppole, broccoli, finocchi, arance, mandarini, fichi, castagne e altra frutta secca. Il senso della festa si rivelava anche e soprattutto nella tavola imbandita, epilogo di un lungo percorso fatto di sacrifici. Sacrificio legato anche a un rituale religioso, esercitato dai fedeli con la pratica del digiuno e della parsimonia, quasi come i “Santi digiuni” descritti dallo storico Tonino Ceravolo nel suo “I compagni visibili” (Rubbettino, 2016). Ogni Natale fa dunque ripensare all’importanza del cibo nel contesto della civiltà contadina, lontano dalle pratiche consumistiche frutto di mera ostentazione. Cibo come connotazione culturale di un luogo o di una comunità che si riconosce in ciò che mangia e non spreca solo per il gusto di farlo. Insomma ripensarsi umili in una società che sempre più ha bisogno di persone che collaborino tra di loro con relazioni “orizzontali”. Ad insegnarci come non cedere alle tendenze egoistiche potrebbe essere il poeta Achille Curcio. Come augurio di un buon Natale ai lettori abbiamo scelto la sua “Natala cu i lupi”. Versi in cui il poeta (utilizzo le parole di Sharo Gambino) «sogna di godersi come una favola la magica Notte nel folto dei pini di una Sila piena di vento, indossando panni da pastore, i lupi divenuti docili, e i briganti, non più tali, vestiti da re Magi, tutti a cantare buoni accanto al fuoco».
Natala cu i lupi
O ventu d’a Sila,
chi arrivi currendu,
chi nova mi porti
stasira venendu?
Moriru li lupi
pe friddu e pe fama;
c’è armenu nt’a notta
na vucia chi chiama?
Tornaru i briganti
lu voscu dassandu,
vicini lu focu
ricoti cantandu?
Cu’ sapa chi dinnu
li pini accoppati,
cuverti de niva,
de jancu pittati!
Stasira è Natala,
è festa d’amuri,
ma u mundu è na guerra,
na hjuma e duluri.
Ed iu tantu affrittu
nte chista vijila
volera ma sugnu
pastura a la Sila.
Ma fazzu u prisepiu
ammenzu li pini,
passandu la festa
cu i lupi vicini.
Cà armenu li lupi
nascendu u bambinu
teneranu mpacia
l’agneddhu vicinu.
E quanta allegrizzi
nte chiddhi paraggi
ma vidi i briganti
vestuti ‘e re magi.
Nte chiddhu silenziu
chi sapa ‘e misteru
chi ducia Natala
facera daveru.
Ammenzu li lupi
ammenzu i briganti
mbischiera nt’a notta
preghieri cu canti.
Sentera stu cora
nu pocu acquetatu
e a notta guardandu
lu celu stiddhatu
videra a cometa
ancora chi fuja,
dappressu currera
gridandu “alleluja”.
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