Venerdì, 02 Agosto 2019 14:03

Buon sottosviluppo a tutti

Scritto da Salvatore Albanese
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C’è un sottosviluppo pilotato che continua a crescere attorno a noi. Alcuni ci hanno raccomandato di insistere nell’ignorarlo, ce l’hanno raccontato come «figlio di una crisi globale e temporanea», «strutturale», «superabile». Eppure da tempi immemori allarga i suoi confini sancendo un divario incolmabile tra noi e tutto il resto. Per lunghi decenni economisti, politici, manager, massimi referenti istituzionali, agenzie ed enti per lo sviluppo, ci hanno raccontato che qui, nel cuore della Calabria, l’origine del problema è «tecnico», legato a «difficoltà burocratiche» e che tutto si sarebbe potuto finalmente risolvere con l’avvento di politiche di intervento adeguate, con l’aumento costante dei finanziamenti pubblici, con provvidenziali piogge di milioni che per terra non avrebbero mai lasciato pozzanghere fastidiose, con le teorizzazioni ufficiali da propaganda elettorale che si sono conquistate un ruolo centrale nella storia parlata, anzi parolaia, dello sviluppo delle aree interne, del Vibonese, della Calabria, del Mezzogiorno.

Ognuno nel tempo ha dato una propria versione delle cause e soprattutto dei rimedi utili a lasciarsi alle spalle il sottosviluppo. Tesi semplici e seducenti. I tecnocrati sciorinando numeri e speranze, con le slide e i grafici proiettati alle convention, mentre chi vive ed ha vissuto di politica, consensi e poltrone ha preferito negli anni calcare i palchi con addosso i panni della rockstar della ripresa verso la fine imminente della sofferenza. Ogni volta, lo sviluppo era lì, a portata di mano. Bastava votare nel modo giusto, riconoscere credibilità al politico o al dirigente di turno, bastava ingoiare giù l’ennesimo paradigma di chi aggiusta con una mano ciò che intanto distrugge con l’altra, di chi dispensa cerotti mentre continua ad infliggere ferite profonde, rivendicando al tempo stesso una certa superiorità morale. I soldi dell’Europa, di Roma e della Calabria (come se non fossero soldi nostri, soldi dei contribuenti) quasi generosamente offerti, con spirito umanitario, per aiutare i bisognosi che lottano per sopravvivere nel deserto. Soldi per le grandi opere, soldi per i grandi ospedali, soldi per le grandi strade, soldi per le grandi scuole, soldi per le grandi infrastrutture. Alla fine però di grande non c’è stato quasi mai nulla da poter toccare con mano, e se c’è stato è arrivato dopo anni, decenni, mezzi secoli di ritardo, tanto da inculcare nella mente dei “soliti complottisti” l’insano sospetto che quel ritardo convenisse a qualcuno o più di uno. Se volete capire perché da queste parti siamo ridotti ai minimi termini dovete per forza di cose guardare all’indagine che sta conducendo il Comando della guardia di finanza provinciale sui lavori per la realizzazione del tratto Vibonese della Trasversale delle Serre: un monitoraggio delle procedure amministrative relative all’appalto per la realizzazione di 21 chilometri che le fiamme gialle hanno portato avanti per ben 3 anni, raccogliendo informazioni sui lavori tra i comuni di Argusto e Serra San Bruno, frugando sia all’interno degli uffici della sede Anas di Cosenza sia di quella di Roma. Sarebbe emerso così che «l’appalto era stato aggiudicato nel 2005 ad un’associazione temporanea di imprese per un importo contrattuale di circa 124 milioni di euro e concluso solo nel 2018, dopo 13 anni, per un costo totale di oltre 191 milioni di euro, con una levitazione di spesa pari ad euro 56.876.838,92». La complessa analisi documentale avrebbe fatto venire a galla «anomalie e fattori di criticità che avrebbero comportato un elevato aggravio di spesa», oltre che la «protrazione della tempistica di esecuzione dei lavori, la dilatazione dei singoli costi, rispetto all’originaria aggiudicazione».

Insomma, si è trattato a parere della guardia di finanza, di pastoie e lungaggini burocratiche pilotate, scandite da evitabili «varianti progettuali richieste dalle imprese coinvolte» e da «un approccio tendenzialmente proclive nei confronti dell’appaltatore» in particolare da parte dei «dirigenti dell’Anas coinvolti a vario titolo nella vicenda, in relazione all’incarico rivestito nel tempo,» che «non avrebbero efficacemente vigilato sulla durata dell’opera nel suo complesso». Pare allora che vi sia stato più di qualcosa di losco, un sistema rodato volto ad imprimere ai lavori un ritmo pachidermico, lento e pesante: «Una notevole dilatazione del tempo contrattuale – spiega ancora il Comando della gdf – pari al 300% della durata, passando da 727 giorni previsti da cronoprogramma agli oltre 1868 giorni aggiuntivi, che ha comportato un incremento pari al 46% circa dell’importo dei lavori» e che, in soldoni, è costato 56 milioni di euro in più.

Spetterà ora alla Corte dei Conti confermare o meno se realmente sia esistito un sistema costruito per moltiplicare la disponibilità di fondi e produrre ritardi biblici, per far crescere a dismisura i costi e i profitti forti del benestare di una classe amministrativa compiacente, per creare uno spazio comodo ed ampio in cui coltivare “amichevolmente” compromessi tra economia legale e illegale proprio mentre si continua a tagliare welfare e servizi sociali (in primis sanità e istruzione) ben oltre l’essenziale. Intanto, nell’attesa che la giustizia faccia giustizia, buon sottosviluppo a tutti.

 

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