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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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La notte del 22 aprile di questo 2022 anche Giuseppe Donato, uno dei grandi depositari della cultura musicale di tradizione orale delle Serre calabresi, è arrivato al suo capolinea, però prima ha attraversato novantadue anni senza farsi mancare serenate con la chitarra battente e battute di caccia, novene di Natale e impegno nella politica locale, servizio nell’arma più fedele e totalizzanti giornate da contadino nella natia campagna di Poparaci; e sempre cercando di tradurre in azioni concrete la sua ferma fede nel valore morale dell’amicizia e dei legami tra gli uomini.
Questi novantadue anni presi di petto sono di per sé un inno alla vita, intonato manifestando l’intenzione caparbia di non alzare le braccia di fronte all’età che avanza evocando i rintocchi dell’ora inesorabile per tutti. Chiaravalle Centrale, il suo paese, non può più contare su di lui ma il risultato di tanta militanza nella pienezza esistenziale è singolare: è fissato per lunedì 25 aprile il funerale, l’ultimo saluto per chi lo ha conosciuto e amato, mentre lo spirito vitale di Peppinu ‘e Costata, debordante, spavaldo, testardo, burbero e bonario, pronto all’invettiva e alla risata, aleggia festoso e beffardo sulla comunità, sembra addirittura di sentire l’eco della sua emozionante voce campagnola lanciata in un canto ad aria.
Peppino Donato, sostenuto appunto dal vitalismo esuberante, portava sulle spalle il peso di una funzione sociale difficile da assolvere, con la quale anzi solo le personalità forti e originali possono immaginare di cimentarsi, e da oggi la comunità di Chiaravalle non solo è orfana di un uomo carico di saperi e di memoria storica, ma dovrà pure fare a meno degli effetti benefici connessi al ruolo che rivestiva.
Peppino nel lungo arco del proprio percorso biografico ha svolto una grande opera di mediazione, nel cuore della modernità tecnologica di cui pure si dichiarava sostenitore ("Io ho portato la prima mietitrebbia e tutte le macchine del progresso a Chiaravalle", diceva a volte durante le conversazioni) aveva deciso di rappresentare le istanze del mondo rurale in cui era nato e cresciuto.
Riteneva che la macrostoria e la microstoria dovessero avere relazioni intense e che fosse necessario, mentre l’evoluzione del mondo livellava e globalizzava, rimanere al centro, per usare parole di Luigi Meneghello, di una fitta rete di genealogie, di occupazioni ereditarie, di tradizioni, di aneddoti da raccontare con un’ espressione linguistica e un tono epico, per riprodurre come in uno specchio di parole il quadro rallegrante di una vita fatta non solo di triboli, ma anche di incontri, di avventure, di capricci alati, di riflessioni, di liberi eventi.
Per questo Peppino ha officiato per tanti anni il rito dell’incanto dei voti nella feste dei santi Medici, perché sapeva entrare nel cuore del tessuto sociale con una volontà di plasmazione finalizzata a tenere insieme tutto e senza di lui non sarebbero forse sopravvissuti a Chiaravalle – uso ora parole di Francesco Faeta – un ethos, un insieme di valori, margini rilevanti di autonomia locale e di espressività comunitaria.
Se ne è andato Peppino subito dopo Gianni e Vittorio Rossomanno, suoi grandi amici e compagni nella vita musicale tradizionale del comprensorio, e sappiamo già da ora di avere perso tanto, di trovarci improvvisamente in una realtà più povera.
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