Domenica, 04 Marzo 2018 11:09

ANTEPRIMA | Una rarissima descrizione (in versi) della Serra del ‘700

Scritto da Redazione
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(Il San Bruno "calabrese" in un'immagine proveniente da Magonza) (Il San Bruno "calabrese" in un'immagine proveniente da Magonza)

Con la pubblicazione del Breve compendio della vita di San Brunone Cartusiano raccolta dagli autentici Diplomi della sospesa Real Certosa di Santo Stefano del Bosco del certosino Bonaventura Bova è stato edito in Austria, dall’Istituto di Anglistica e Americanistica dell’Università di Salisburgo, il primo volume della collana “Collectanea Cartusiae Sanctorum Stephani et Brunonis” (“Analecta Cartusiana”, 330:1) diretta da Tonino Ceravolo.

Il volume presenta diversi motivi di notevole interesse, tra i quali, in primo luogo, l’edizione del poema settecentesco di Bova (conservato in forma manoscritta nell’archivio della Certosa di Serra), l’ampio corredo iconografico in cui si documenta l’immagine del cosiddetto “San Bruno calabrese” (ovvero del San Bruno “barbuto” che impugna il bastone a “tau”) e i saggi, in apertura e chiusura del libro, dello stesso Ceravolo e di Giovanni Leoncini dell’Università di Firenze. Questo volume, tuttavia, non è destinato soltanto agli studiosi del monachesimo e della vita di San Bruno, ma si segnala, tra l’altro, per un curioso “inserto”, presente nel testo di Bova e abbastanza “eccentrico” rispetto al contenuto dell’opera, in cui l’autore, che compone il Breve compendio alla fine del XVIII secolo, descrive in versi alcuni aspetti della vita a Serra in quel tempo. Una descrizione di prima mano e di grandissima rarità - se si pensa che sono molto scarse le fonti che prima dell’Ottocento si soffermano sul paese per coglierne elementi di vita quotidiana – che Il Vizzarro anticipa nel momento in cui il volume viene pubblicato.

Introdotti da una laudatio del “clero della Serra”, che Bova definisce di “scienza ornato”, i versi sul paese costituiscono un parallelo ed evidente elogio dei suoi abitanti, dei quali vengono segnalati soprattutto la laboriosità e la fatica del lavoro, senza dimenticare di richiamare lo speciale rapporto che lega i serresi al monastero certosino: “Di anime cinque mila popolato. / Di scienza il Clero della Serra ornato, / Nè fà pompa qual’altro Vescovato. / Prattica in Chiesa con tutto decoro, / Salmeggia ancora con canto sonoro; / Non differisce di ogni Cattredale / Nell’onorar quel Dio, sommo immortale; / Nella Provincia si stima esemplare, / Abbonda di virtudi, anche più rare; Dona norma alle Terre, e alle Cittade, / E del Ciel c’insegna ancor le strade; / L’abiti porta a lungo decorati, / Chè dona esempio a tutti j vescovati. / Sù del pulpito ancora, e sù l’altare / Insegna il suo dovere al secolare. / Imita in tutto il gran Filippo Neri, / La mente ci empie di Santi pensieri, / Del nostro Eremo allievo è un tanto Clero, / E il decoro de’ Padri, Ei serba intero. / A gran Bruno, ah, stupor, ancor tu vivi / Trà tanti ceti il tuo fervore avvivi; / Tu risplendi qual face in sù di un monte, / Siegue ciascun le tue virtù si conte. / La gente in arte vedesi fiorita, / Ed è all’uso Francese ancor vestita; Di mercadanti anch’ella alquanto abbonda, / E ogni fiera con mercanzia circonda; / La bassa gente astuta, ed industriosa / Di ogni sesso la vedi labboriosa; / Solèa con zappa il duro suol rovente, / E pur del suo sudor, non si risente; / Nel verno a lavorare intorno gira / Scalza, ignuda tale or sempre si mira. / Per tutta la Provincia incaminati, / Si veggon, e da ladri ancor spogliati. / Ognun poi perfin la donna vile / Portava al petto pria un grosso stile. / Ogni nativa donna della Serra / Porta legni sul capo, e pietre, e terra. / E stanca, e lassa alfin si riposa / Pell’amara fatica, e lagrimosa. / La donna sù la neve congelata, / Per far legni cammin la sconsolata. / Notte, e di tien in man la rocca, e il fuso, / E fila lana, e lin secondo l’uso. / Tre dì la settimana il pan si è dato / Dall’Eremo a colui, chè si è portato; / Ivi ognor della Serra, e soccorrea / Folla immensa di gente, chè occorrea. / Ed il Procurator denar donava / Al pezzente Cristian, chè si trovava; / L’inverno poi pel gel, la gente chiusa, / Cantava al suon della cornamusa, / Aspettando il soccorso dal Priore, / Chè mandava un fratel con tanto amore / Con some, chè ripiene di ogni vitto, / Fa ciascun contento, e non afflitto”.

Un ritratto in presa diretta di Serra, del suo clero e della sua industriosa popolazione, che, dal Settecento, è potuto giungere sino a oggi per illustrare uno squarcio della sua storia. 

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