Lunedì, 01 Novembre 2021 08:22

Addio a Gigi Cunsolo. Le sue “Otto ore di preghiera” un elogio all’intuizione e alla creatività

Scritto da Bruno Greco
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Un altro “gigante” serrese ha lasciato questo mondo. Il professore e musicista Luigi (Gigi) Cunsolo è venuto a mancare ieri, a Pisa dove viveva oramai da tempo, a causa di un improvviso malore. Noi vogliamo ricordarlo attraverso il suo libro “Otto ore di preghiera”, profonda riflessione sulle storture della società odierna, preda del consumismo e della cattiva comunicazione. Per chi non lo conoscesse nel libro non mancano gli aneddoti autobiografici di un uomo che prediligeva su tutto l’intuizione e la creatività per fuggire il conformismo.

Rievocare il passato, addentrarsi nella complessità del pensiero, cercare di darsi un ruolo nella società odierna che per certi versi si rifiuta connotandola come futile e legata a processi di creazione di “quantità” più che di “qualità”. “Otto ore di preghiera” (Lapsus libri edizioni) di Gigi Cunsolo – musicista e compositore di Serra San Bruno – è una sorta di diario della ragione, di “riflessione al focolare”, per tentare di districare la matassa dei pensieri che avvolge l’essere umano. «C’è qualcosa di cartesiano nel libro di Gigi Cunsolo – afferma Tonino Ceravolo nella prefazione, esperto di antropologia storica e scrittore – che, invece, intitolandosi “Otto ore di preghiera” sembrerebbe piuttosto rinviare alla tradizione monastica occidentale».

Considerando che secondo la filosofia cartesiana la ragione è la cosa meglio distribuita al mondo, basta solo avere la voglia di coglierla ed utilizzarla. Un approccio da “Discorso sul metodo”, minuzioso e razionalizzante, che scava nei meandri più reconditi del passato, per delineare un presente che stenta a disvelarsi nella sua essenza. I frati benedettini – come ci fa notare nell’introduzione Franco Ghione, professore ordinario di Geometria all’Università di Roma “Tor Vergata” – dividevano la giornata dell’essere umano in tre parti uguali: 8 ore di lavoro, 8 ore di riposo e 8 ore di preghiera, a differenza della giornata della bestia che esaurisce il suo tempo tra “lavoro” e riposo. La differenza tra noi, esseri privilegiati detentori del “lume della ragione”, e la bestia sta nelle 8 ore di preghiera, che non necessariamente si riferiscono al rapporto col trascendente, ma nell’accezione di Gigi Cunsolo rimandano piuttosto alla dimensione creativa di ognuno di noi, nell’atto di dar sfogo alla propria espressione artistica.

Gigi Cunsolo assieme a Franco Ghione, durante il periodo di gestazione del libro, presi in una re-interpretazione del dilemma shakespeariano, inseriscono le 8 ore di preghiera tra gli estremi “Essere/Non Essere”, ritagliando così tra questi l’insieme delle manifestazioni dell’essere umano quali “poesia” e “creatività”. Il recupero delle 8 ore di preghiera è quindi indispensabile, per riappropriarsi della peculiarità dell’essere umano. «Chi vive senza pensare finirà per pensare come vive». Questa massima riflette la necessità di darsi delle risposte, per sciogliere l’ingarbugliata matassa di pensieri e alleggerire lo spirito.

“Otto ore di preghiera” alterna l’aneddotica autobiografica alla vera e propria riflessione (resa col corsivo) su un tema ben preciso. La scuola per esempio: partendo dalle tradizionali definizioni che la riguardano, Gigi Cunsolo arriva poi ad analizzare cosa è effettivamente la scuola inserita nel contesto sociale odierno. Secondo Cunsolo, è la società stessa che tende a convogliare e a confezionare le informazioni di base per inserirle nella struttura scuola. È la società che molte volte passa al vaglio ciò che è valido per l’insegnamento e ciò che non lo è, e il tutto viene influenzato dal contesto storico e da questo ne dipende. 

Mentre succede diversamente per la “cultura”, perché questa non ha nessun bisogno di essere considerata valida o meno. Dato che afferma se stessa, non si interroga sulle cose e i suoi risultati si ricavano dall’esperienza. Quando si dice “è una questione di cultura”, si afferma l’auto-referenzialità della stessa, che non ha bisogno di basi scientifiche e non accetta ciò che la nega. Ma a formare le coscienze c’è un altro importante fattore, l’“intuizione”, che prescinde dal binomio scuola-cultura mostrando tutta la sua autonomia fino a scardinare i principi assodati.

Ripercorrendo il sentiero autobiografico, Cunsolo si rituffa negli “anni di piombo”. È in questo periodo che ha maturato la sua coscienza sociale, ed anche se per qualcuno gli anni di piombo sono veramente esistiti, scartando questo pacchetto pre-confezionato e spogliandolo da una forzata connotazione culturale, si riscontra in quel periodo storico tutto un insieme di ideali legati ai principi di amicizia e amore, tanto lungi da qualsiasi forma di violenza. Anni vivi quindi, ancora lontani da una realtà votata esclusivamente al consumismo che ammalia l’individuo, occupato ad accumulare, e nega la coscienza di massa. A questo punto è doveroso riflettere sulla funzione della “pubblicità” e della “comunicazione”. Se la società predilige l’idea del tempo come “ammasso di beni fisici”, a scapito della riflessione e della contemplazione, cade in secondo piano il patrimonio intellettuale perché considerato come superfluo. La pubblicità ha un ruolo fondamentale nella promozione dei beni fisici, stimola il desiderio e proietta la coscienza in una dimensione di necessità, di possesso. 

Questo succede perché abbiamo bisogno di riappropriaci del nostro tempo, delle “Otto ore di preghiera” appunto. Se riuscissimo a razionalizzare la pubblicità, presto saremmo immuni dall’effetto magico attraverso il quale questa ammalia le coscienze. Cunsolo, analizzando la formula della crescita economica avvenuta nel Dopoguerra, arriva alla conclusione che se per sconfiggere la “precarietà” si è creato il “benessere”, oggi questo (tradotto in consumismo) ha portato alla saturazione del mercato generando nuovamente il mostro della precarietà. E le guerre odierne (volute) non sono altro che luoghi per riversare la sovrapproduzione dei paesi globalizzati. La degenerazione di questo fenomeno, porterà magari l’uomo a riversare le proprie energie su se stesso, attraverso l’auto-manipolazione che sfocerà nell’omologazione dei corpi.

La pubblicità, oltre a promuovere un dato prodotto oggettivamente, con funzione, utilizzo e quant’altro, ultimamente, nella società della comunicazione, può essere un vero e proprio messaggio (politico, culturale, religioso, ecc.). La "pubblicità" che diventa "comunicazione" è pericolosa, perché quest’ultima ha il potere di diffondere una idea quanto tacerla. Per esempio, se si prende in considerazione il (tanto amato) termine "flessibile", utilizzato soprattutto in ambito occupazionale, si capisce, razionalizzando la parola, quanto questa non comunichi nulla di positivo: un messaggio ormai assodato riguardo il termine flessibilità rimanda al "nobile" significato di «costante miglioramento delle conoscenze da parte di un lavoratore, che non deve sentirsi costretto alla stessa attività occupazionale per tutta la vita». Tutto questo confortante giro di parole potrebbe essere meglio reso semplicemente con «diminuzione del potere contrattuale». Ecco come un esempio di cattiva comunicazione può centrare un grosso problema sociale.  

"Otto ore di preghiera" è un libro che invita alla riflessione, che ci indirizza a servirci del lampo dell’intuizione e che privilegia il concetto di "cooperazione" per il raggiungimento di un fine comune, rigettando e criticando la deleteria "competizione", assioma della società individualista. Un libro che invita a recuperare il nostro spazio artistico, inteso come «azione umana volta al creativo».

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