Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Ci sono stati momenti di panico questa mattina a Vazzano, quando poco dopo le ore 7.00, un autobus di linea delle Ferrovie della Calabria, durante una manovra, dopo aver caricato a bordo alcuni viaggiatori, è letteralmente sprofondato nella piazza sita nel centro abitato della cittadina vibonese, la stessa in cui con cadenza settimanale si tiene anche il mercato locale.
Per fortuna né l’autista, né i passeggeri, quasi tutti studenti, hanno riportato conseguenze. La parte posteriore del veicolo è stata risucchiata dalla voragine apertasi sulla piazza, tanto che le persone a bordo hanno abbandonato il mezzo uscendo dalla porta anteriore. Sul posto sono intervenuti gli agenti della Polizia Municipale, i militari della locale Stazione dei Carabinieri e i Vigili del Fuoco. In particolare questi ultimi sono stati impegnati nelle operazioni di estrazione del pullman attraverso l’ausilio di una gru.
Si stanno ancora accertando le cause del cedimento della pavimentazione stradale, probabilmente indebolita dalle copiose precipitazioni cadute negli ultimi giorni.
Futsal Serra in grande spolvero quello che sabato pomeriggio ha letteralmente affossato il Free Time nell’incontro valido per la settima giornata di ritorno del campionato di serie D, girone B. La capolista, dunque, mantiene il distacco di sei punti sul Five Falerna, diretta inseguitrice e, sabato prossimo, potrebbe mettere una seria ipoteca sulla vittoria del campionato. Tra una settimana, infatti, ci sarà l’atteso match contro la Silver City, quarta forza del torneo e vincere a Gizzeria significherebbe di fatto chiudere virtualmente il discorso per quel che riguarda la promozione in serie C2.
Di fronte ad un pubblico delle grandi occasioni, il tecnico di casa Pisani può contare su tutti gli uomini a propria disposizione, ad eccezione del solo Franzè, fuori per influenza.
Il Futsal Serra, dunque, scende in campo con Carrera tra i pali, poi capitan Albano centrale di difesa, coppia laterale formata da Ciconte e Domenico Zaffino, mentre De Padova viene schierato pivot.
Dopo un avvio non certamente entusiasmante dei padroni di casa, con il passare dei minuti la partita si incanala nella giusta direzione: a sbloccare il risultato ci pensa sempre lui, Domenico Zaffino, che negli ultimi tre impegni in campionato (sabato, contro il Futsal Catanzaro e ancor prima contro il Real Monterosso) ha sempre firmato per primo le marcature: tiro di prima intenzione sugli sviluppi di un calcio d’angolo e Futsal Serra meritatamente in vantaggio. I ragazzi di Pisani sono più che mai intenzionati a portare a casa l’intera posta in palio e lo dimostrano poco dopo, creando almeno 3-4 occasioni da gol. Intorno al 10? ecco il meritato raddoppio: ripartenza di De Padova dalle retrovie che intercetta un giocatore avversario, si invola verso la porta e fornisce un assist perfetto a Ciconte che, tutto solo davanti al portiere, sigla la rete del 2 a 0 a porta sguarnita. Futsal Serra padrone assoluto del campo e Free Time che sembra essere giunto a Serra con l’intenzione di limitare il più possibile i danni. Gli ospiti, però, vengono puniti dopo un po’ da una bella azione in area tutta in velocità tra Ciconte, Carchidi e Domenico Zaffino, con quest’ultimo che firma la sua doppietta personale. Per vedere l’unico gol messo a segno dagli ospiti nell’arco di tutti i sessanta minuti di gioco, bisogna attendere la metà della prima frazione: la marcatura dei vibonesi arriva direttamente su un calcio di punizione dal limite. Tiro troppo forte per Carrera, che vede la palla infilarsi all’angolino. Il Free Time accorcia le distanze, ma non dimostra assolutamente di poter mettere in discussione la partita: basti pensare che subito dopo il momentaneo 3 a 1 degli ospiti, Domenico Zaffino tenta il gol con un botta da fuori, ma la palla si stampa sulla traversa. Zaffino che si ripete poco dopo, servito perfettamente da Albano dalle retrovie: cross del capitano biancoverde verso il numero 2 del Futsal Serra, che tenta il gol con una sforbiciata ma il portiere ospite si supera e spedisce la palla in angolo. Il primo tempo termina con la capolista in avanti per 5 a 1. Le altre due marcature sono arrivate grazie a Ciconte, a seguito di un’azione tutta in velocità con De Caria, e a Lucio Zaffino.
Ad inizio secondo tempo, ecco il 6 a 1 sempre ad opera di Lucio Zaffino: angolo di Ciconte e palla per il numero 14 biancoverde al quale non rimane altro che insaccare. È notte fonda, dunque, per la squadra ospite, che nella ripresa viene punita in altre sei situazioni: prima Ciconte concretizza di tacco un assist di De Caria, dall’altezza della metà campo (7 – 1 ), poi è capitan Albano ad andare in gol dopo una ripartenza da dietro: sul tiro del numero 10 locale c’è però la complicità del portiere ospite (8 – 1). Albano che subito dopo consente a Nardo di firmare il nono gol dell’incontro, a tu per tu con il portiere. Il 10 a 1 lo sigla in neo entrato De Raffele, che subito dopo colpisce anche il palo, nel tentativo di servire Vincenzo Zaffino tutto solo sul secondo palo. Nella schiera di marcatori, non poteva mancare Carrera, che nella sua specialità (punizioni dirette) non sbaglia. Il definitivo 12 a 1, lo sigla il neo entrato Carchidi, che viene schierato negli ultimi 5 minuti e ripaga la fiducia di mister Pisani con un gol: Costa (che ha preso il posto di Carrera tra i pali) vede Carchidi solo a centrocampo, che dopo aver ricevuto palla si disfa di un giocatore avversario e, da posizione defilata, lascia partire un tiro potente sul secondo palo. Il portiere può solo guardare.
Prestazione positiva, dunque, della capolista che, rispetto agli ultimi incontri – dove forse è mancata un po’ di lucidità -, sta dando segnali di ripresa anche sul piano del gioco. Oltre ai titolari, ovviamente, una nota di merito va anche a coloro i quali sono entrati dalla panchina, che non hanno assolutamente deluso le aspettative.
Il Futsal Serra porta a casa, quindi, un successo importante, che consente ai ragazzi di Pisani di affrontare con la giusta attenzione la sfida di sabato prossimo contro la Silver City.
RISULTATI 7a giornata di ritorno
Futsal Serra - Free Time 12 - 1
Five Falerna - Real Monterosso 8 - 0
Atletic Club Gizzeria - Lamezia Soccer 6 - 1
Cavita - Tegola Canadese 4 - 0
Futsal Club Filadelfia - Rombiolo C/5 3 - 9
Polisp. Capo Vaticano - Futsal Catanzaro 4 - 7
Riposa: Silver City
CLASSIFICA
52 Futsal Serra
46 Five Falerna
40 Lamezia Soccer
36 Silver City
31 Rombiolo
29 Cavita
26 Tegola Canadese
22 Free Time
21 Futsal Club Filadelfia
19 Atl. Club Gizzeria
15 Futsal Catanzaro
9 Real Monterosso
6 Polisportiva Capo Vaticano
Riceviamo e pubblichiamo
Serra San Bruno, centro montano famoso per la presenza nel suo territorio dell’antica Abbazia certosina dei SS. Stefano e Bruno, fondata da San Bruno da Colonia, non vorrà passare alla storia per aver distrutto una parte di quel patrimonio forestale che aveva suscitato l’ammirazione dei monaci certosini e che, nonostante il trascorrere dei secoli, rappresenta tutt’ora la caratteristica più importante del paesaggio serrese e il principale richiamo per turisti e visitatori.
Succede infatti che l’amministrazione comunale di Serra, che negli ultimi anni aveva consentito il taglio di migliaia di alberi nel suo territorio, abbia organizzato per il prossimo 25 marzo un’asta pubblica per la vendita di materiale legnoso proveniente dal taglio di tre lotti boschivi, di proprietà del demanio comunale, nel cuore del Parco Naturale Regionale delle Serre, il “Bosco Archiforo”, area SIC- Sito di Importanza Comunitaria - zona di riserva generale orientata.
Tra le 2.603 piante delle quali è previsto il taglio, ben 1.090 sono esemplari del raro Abete bianco, tra cui maestosi alberi secolari, tra i più antichi d’Europa, meritevoli di custodia e di tutela assoluta, come testimoniato dalle immagini del naturalista Pino Pisani. Tra gli altri, lo studioso ha individuato un esemplare di abete bianco che presenta delle misure eccezionali: una base di 5,5 metri di circonferenza e un’altezza superiore ai 50 metri. Dimensioni che identificano lo stesso albero come un vero patriarca vegetale, forse il più grande in Europa di questa specie.
Secondo diversi autori l’Abete bianco di Serra costituisce un’entità a sé, tanto da essere descritta come una sottospecie (“apennina”) , con una capacità di resistere all’inquinamento che è di gran lunga superiore a quella degli abeti bianchi di latitudini più settentrionali. Inoltre le abetine di Serra sono considerate come centri di grande variabilità genetica.
Ci si chiede come sia possibile che questi boschi vengano ancora trattati come una qualsiasi merce, volutamente ignorando che il rilevante patrimonio forestale dei parchi e delle aree protette dell’Appennino meridionale costituisce un “unicum” straordinario nel nostro Paese per la ricchezza della biodiversità e la bellezza del paesaggio.
Il caso del comune di Serra San Bruno non è l’unico, purtroppo; fatti analoghi sono avvenuti in questi ultimi anni anche in alcuni parchi nazionali . Per salvare migliaia di alberi dall’abbattimento si sono mobilitati comitati civici ed alcune associazioni.
Le associazioni chiedono alla Regione Calabria di impedire il taglio degli alberi del Bosco Archiforo e di fare rispettare i vincoli previsti dal decreto di attuazione della Direttiva Habitat.
(Wwf Calabria; Italia Nostra; CNP; LIPU – Rende; Altura; MAN – Associazione Mediterranea per la Natura)
I codici della ’ndrangheta ignorano differenziazioni di genere, e non certo perché rispettosi delle pari opportunità: la presenza delle donne, semplicemente, non è contemplata e il loro silenzio mansueto – nonostante l’imprevedibilità della natura femminina «cantata» da tanta tradizione popolare – è presupposto dentro e fuori la famiglia-cosca. È un dato culturale, consegnato da un mondo contadino di poche parole che alle donne affidava la casa e precludeva la polis. Tuttavia qualche codice non rinuncia a richiamare il concetto, fornendo veri e propri consigli di bon ton: «La donna di un affiliato non manifesta mai curiosità sulle discussioni o attività del suo uomo ma tacitamente si adegua al proprio ruolo» La ’ndrangheta, però, prevede anche il riconoscimento di benefit, come l’assegnazione del titolo di «sorella d’omertà», l’unico che il mondo maschile e maschilista della criminalità organizzata calabrese conceda in via ufficiale alle esponenti dell’altro sesso. Il messaggio è chiaro: la caratteristica più importante di una donna di ’ndrangheta, non importa quanto sia scaltra, spietata o a quali importanti compiti dirigenziali sia stata cooptata, resta il silenzio. Nel dettaglio: non proferire parola quando le scelgono il marito, stare zitta durante gli interrogatori di Carabinieri e Polizia, restare muta di fronte alle decisioni di morte degli «omini».
Infrangendo il silenzio assegnato dalla tradizione e preteso dalle cosche, combattendo paura e pudore, raccogliendo, non in misura uguale, disprezzo e solidarietà, in Calabria ci sono donne che hanno parlato. Madri, figlie, sorelle che negli ultimi trent’anni hanno socializzato il dolore, per socializzare l’ingiustizia, rimanendo spesso sole o isolate e pagando, in troppe, un prezzo altissimo. Vittime di ’ndrangheta che, senza vittimistica rassegnazione, hanno trasformato la ricerca privata di giustizia in una battaglia collettiva di civiltà, «il pathos della tragedia in ethos della democrazia»
Le prime infrazioni arrivano negli anni Ottanta. Marianna Rombolà, a cui hanno ammazzato il marito a pochi metri dal portone di casa, nel 1988 decide di confidare nella giustizia dei tribunali: alcuni concittadini di Gioia Tauro le spediranno lettere di solidarietà, ma senza firma; hanno un nome e un cognome, invece, i tantissimi che le levano il saluto. E poi ci sono due «forestiere» – una ragazza innamorata e una madre disperata– che la Calabria la incrociano per loro sventura, donne cresciute stando zitte solo quando non avevano niente da dire. Il 22 febbraio 1981 Rossella Casini comunica al padre che sta per partire da Palmi e tornare a casa, a Firenze. Non ci arriverà mai.
La giovane fiorentina è stata uccisa e fatta a pezzi per avere spinto alla collaborazione il fidanzato calabrese, coinvolto in una sanguinosa faida. Per la ’ndrangheta Rossella era un’infame. Quando nel 1989 la «nordica» Angela Casella si rivolge alle donne di Ciminà, chiedendo aiuto e solidarietà per il figlio Cesare,sequestrato da Pavia, trova chi le ribatte un po’ stizzita: «Che ti dobbiamo fare, noi?». Di tragedie, nel paese aspromontano con oltre quaranta morti di faida, le donne ne avevano sopportate per vent’anni, tenendo la bocca chiusa e stando al loro posto: sotto il velo del lutto, pensando alla vendetta, se facevano parte delle famiglie coinvolte, o dietro le imposte, in attesa della prossima vittima, se ne erano estranee. In entrambi i casi, in silenzio. Qualcosa comincia a scricchiolare. La cappa si incrina, impercettibilmente, e dalla fessura rifluiscono parole. Nasce nel 1989 il comitato Donne contro la mafia e, quattro anni dopo la «missione» di Angela Casella, sarà la figlia di un sequestrato calabrese, Deborah Cartisano, ad animare il comitato Pro Bovalino Libera, promuovendo una catena del digiuno e trascinando in Calabria il capo della Polizia e la Commissione parlamentare antimafia. In quegli stessi giorni davanti al Tribunale di Reggio Calabria staziona un’altra donna che ha deciso di portare in piazza la sua battaglia contro il clan Mammoliti: si chiama Teresa Cordopatri, ha visto il fratello ammazzato sotto i suoi occhi, ed è calabrese.
Storie che diventano segnali. Come quella, dirompente, degli undici commercianti di Cittanova che nel 1991 hanno denunciato, presentandosi insieme in commissariato, le richieste di mazzetta dei Facchineri. Saranno due ragazze poco più che ventenni – Maria Concetta Chiaro e Maria Teresa Morano – a dare voce e volto alla loro ribellione. La strada è aperta, insomma. Ma resterà non abbastanza battuta. Le voci faticano a diventare coro. Quando non sono le minacce, le querele o, peggio, la morte, arrivano l’alone di scandalo, le accuse di esibizionismo e il fastidio mal dissimulato ad accogliere chi ha deciso di parlare chiaro, magari come la maestra Liliana Esposito Carbone, con la foto del figlio ammazzato perennemente al collo. Perché, in Calabria, la donna che parla lancia una doppia sfida: punta l’indice contro i «nemici» ma anche verso un mondo che tace. Diventa, insomma, un atto d’accusa ambulante che disturba sul piano criminale e imbarazza su quello sociale. E allora ecco scattare i vecchi e consolidati meccanismi di difesa e delegittimazione: Teresa Cordopatri è «buttana» per gli uomini dei Mammoliti, e «pazza» per i loro avvocati. Rossella Casini «era brava ma tornava tardi la sera». Liliana Carbone l’ha resa pazza il dolore. La tendenza vale, naturalmente, anche per le donne di ’ndrangheta che hanno scantonato: Concetta Managò era «imbottita di psicofarmaci», Lea Garofalo era «fuori controllo», Concetta Cacciola era «depressa psichica», Rosa Ferraro è «pazza perché parla troppo» e a Giuseppina Pesce «serve lo psichiatra». Proprio quello della fragilità emotiva femminile, sbandierata come «prova contro», come inconveniente di genere che priverebbe di valore scelte e parole, è un tema che vedremo ritornare costantemente: depresse, instabili, pazze – come la Cassandra dolente e furiosa di Christa Wolf – lo saranno considerate un po’ tutte, le ribelli che parlano.
«Oggi le donne calabresi piangono ancora chiuse in casa», dice Marianna Rombolà. Negli ultimi anni, invece, da certe case le donne hanno scelto di uscire, facendosi nemiche di «famiglia». Collaboratrici di giustizia come Giuseppina Pesce, cresciuta all’interno della cosca più potente di Rosarno, e Rosa Ferraro. Testimoni come Lea Garofalo, il cui esempio di coraggio risplende oggi nella figlia Denise, o come Maria Concetta Cacciola e Tita Buccafusca che, ritornate sui propri passi, hanno preferito l’acido a una vita tra quattro mura «onorate». Una scelta di rottura, la loro, che ha infranto muri considerati impenetrabili e potrebbe addirittura abbatterli, se diventasse contagiosa. La condizione è che la loro voce non risuoni solo nelle aule dei tribunali e che ad ascoltarla non ci siano solo i magistrati.
Io parlo raccoglie e ricostruisce alcune di queste storie, intrecciate con gli ultimi trent’anni di storia criminale calabrese e con il cammino di una terra perennemente in cerca di voce e parole.
(dall'Introduzione dell'Autrice)
Dalla relazione di scioglimento del Comune di Reggio Calabria alle carte delle inchieste giudiziarie, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia alle connivenze dello Stato e della società civile con il malaffare e, ancora, gli intrecci economici in riva allo Stretto, ma anche a Milano, il ruolo della massoneria e dei Servizi Segreti nelle vicende più oscure degli ultimi anni.
“Il Sistema Reggio”, del giornalista Claudio Cordova per Laruffa Editore, è il primo libro-inchiesta sulla città dello Stretto che, alla luce di dati oggettivi, mostra come – dall’economia alla politica, passando per la criminalità organizzata – tutto sia, appunto “Sistema”. Un lungo lavoro di ricerca e di approfondimento sui gruppi e i grumi di potere che comanderebbero la città. Forse su Reggio Calabria è possibile immaginare una “cabina di regia” composta da entità diverse, pronte sempre a rinnovarsi, in base ai nuovi equilibri politici, economici e criminali. A partire dagli anni 2000 si sarebbero create le condizioni politiche, mafiose ed economiche perchè Reggio Calabria venisse, di fatto, inglobata dalla stessa logica dell’armonia e dell’accordo. Cordova – da giornalista attivo in città da anni – mette insieme un’opera unitaria in cui non viene risparmiato alcun settore della vita sociale reggina, portando alla luce una lunga serie di manovre oscure su cui si poggerebbe lo status quo cittadino. “Il Sistema Reggio” è una fotografia di quella che è diventata la città dal 2000, in un momento delicatissimo per la sua storia, all’indomani dello scioglimento del Comune per contiguità con la ‘ndrangheta.
E se lo specchio attraverso cui questa città si è guardata negli ultimi trent’anni fosse stato uno specchio distorto, alterato? E se alla rettitudine di cittadini comuni, imprenditori, servitori dello Stato, insegnanti, medici, avvocati, notai, e anche giornalisti, si fosse contrapposto un establishment esteso, sostanzialmente mediocre, connivente col sistema criminale che regola i rapporti sociali, ma soprattutto silenzioso? E se questo silenzio avesse, piano piano, ammorbato la gran parte del tessuto sociale fino a rendere quasi ininfluente ogni impulso di senso contrario? (Antonino Monteleone)
Il libro sarà presentato mercoledì 27 marzo, alle ore 18, presso il Teatro Politeama Siracusa, a Reggio Calabria dalla Casa Editrice Laruffa in collaborazione con l’Associazione Culturale “Quadrante Sud”.
Oltre all’autore, interverranno: Gianluca Ursini, giornalista e scrittore, Antonino Monteleone, giornalista e scrittore, Roberto Laruffa, editore. Coordina Eleonora Scrivo, referente territoriale di Action Aid.
Nota biografica dell’autore - Claudio Cordova, nato nel 1986, giornalista, vive a Reggio Calabria. Ha lavorato per diverse testate locali, occupandosi di cronaca nera e giudiziaria. Dall’aprile 2012 è direttore del giornale online Il Dispaccio. Collabora inoltre con Il Quotidiano della Calabria. Per Laruffa nel 2010 ha già pubblicato il libro-inchiesta sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi “Terra Venduta – Così uccidono la Calabria – Viaggio di un giovane reporter sui luoghi dei veleni”.
FABRIZIA - Le occasioni di parlare delle disfunzioni perenni sul territorio del vibonese, con particolare affondo su quello serrese, non mancano di certo. L’eterno dramma dell’acqua, la cui potabilità è irrimediabilmente messa in discussione da fatti precisi e puntuali, resi evidenti non solo tramite le numerose ed annose proteste popolari, ma anche da puntuali e precisi rilievi specialistici e non solo. La perenne protesta senza successo per il degrado delle strade provinciali e comunali. La recente rimostranza che Fabrizia ha espresso con la lettera del movimento "Crescere Insieme" al commissario prefettizio Ciclosi ed al Prefetto della provincia di Vibo, rappresenta un’altra presa d’atto dell’abbandono del territorio, così evidente che per definirlo non bastano le espressioni civili ed ortodosse. È diventata quasi una mania, per di più utopica, stare a meditare e discettare in merito allo storico disinteresse per questa estremità di provincia
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