Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Riceviamo e pubblichiamo:
Chiedere le immediate dimissioni del Sindaco di Serra San Bruno sarebbe stato un atto dovuto, sopratutto dopo le famose due Ordinanze con le quali il primo cittadino è intervenuto sulla potabilità dell’acqua, ma, non lo facciamo, perché sappiamo di perdere solo tempo. L’insensibilità ormai è notoria e la serie di irresponsabili atti amministrativi di questa Amministrazione è infinita. Certamente non vogliamo nemmeno improvvisare ricette facili per non incorrere negli stessi errori di chi in passato l’ha fatto e oggi si trova al timone smarrito e senza più una meta o magari di chi continua o si accinge a farlo, contribuendo all’impoverimento della nostra comunità, incuranti delle difficoltà di “guidare la nave” della gestione della cosa pubblica. Perché è solo in quel momento che si contano gli Schettino di turno e non quando si parla o si scrive tanto per segnalare di esistere, tentando perfino di assurgersi a protagonista di lotte che, in questo caso specifico, appartengono solo alla costanza e alla tenacia di pochi ragazzi che senza bandiera o appartenenza alcuna hanno garantito, in questo momento di grande difficoltà democratica e di rappresentanza politica, il diritto di parola alla nostra cittadinanza.
Ciò che noi vorremmo invece capire è a quali fonti normative si ispira l’attività amministrativa del Sindaco, della sua Giunta e di qualche pericoloso consigliere. Una gestione assolutamente incapace ed irresponsabile della cosa pubblica che addirittura sta incutendo psicosi ed insicurezza nei cittadini serresi.Forse non sarebbe neppure esagerato parlare di vero terrorismo politico che provoca smarrimento e sfiducia. D'altronde, come si potrebbe definire il comportamento di chi, nonostante il sequestro dell’Alaco e di 57 serbatoi, con 26 indagati, ha continuato e continua ad incitare la gente a bere acqua dal rubinetto e a confonderla con due Ordinanze, emesse dopo oltre 10 giorni dal sequestro, con le quali a distanza di 24 ore l’una dall’altra, prima si vieta il consumo di acqua perché non potabile e dopo se ne consiglia l’uso purché bollita e, perfino, senza problemi nelle zone, tra l’altro mai puntualmente indicate, servite direttamente dagli acquedotti comunali che, tuttavia, è bene ricordarlo, riversano l’acqua in rete mescolandosi con quella fornita dall’invaso Alaco.
Una reazione grossolana, superficiale e tardiva quella del Sindaco e del suo entourage che và proprio nella direzione opposta alla linea intrapresa con l’inchiesta “acqua sporca” della Procura della Repubblica di Vibo Valentia e che rischia di ripercuotersi anche sotto il profilo delle responsabilità personali, tenuto conto che entrambi le Ordinanze sono state emesse a seguito di comunicazioni telefoniche e a mezzo posta elettronica da parte di una Ditta privata, la Esi Lab S.r.l. di Catanzaro, incaricata dal Comune, che secondo la normativa vigente non ha alcuna competenza ad emettere giudizi di potabilità dell’acqua comunale su cui un Sindaco può basare l’emanazione di Ordinanze. Infatti, i Decreti legislativi n. 31/2001 e n. 27/2002, attuativi della direttiva 98/83/CE, che rappresentano le norme di riferimento per la qualità delle acque destinate al consumo umano, prevedono che su tali acque vengano eseguiti due tipi di controllo analitico chimico-fisico e microbiologico: i controlli interni, di responsabilità del Gestore del Servizio idrico integrato, effettuati in laboratori interni, e i controlli esterni effettuati dalle Arpa territorialmente competenti unitamente alle Aziende Sanitarie Locali a cui spetta il giudizio di idoneità dell’acqua destinata al consumo umano (art. 6 comma 5-bis). Sono infatti le Aziende Sanitarie Locali, attraverso i propri Dipartimenti, preposte a verificare che l’acqua mantenga le necessarie caratteristiche di potabilità e non la Ditta di turno o di comodo. Ed in caso di presenza nell’acqua di sostanze che ne modificano la qualità o che la rendono non potabile, spetta alle ASL individuare e proporre provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica. Solo tali proposte possono essere sottoposte al Sindaco che in veste di Autorità sanitaria emette Ordinanze specifiche con indicazioni ai cittadini sull’utilizzo dell’acqua (art. 10, comma 1)
Purtroppo, dobbiamo evidenziare che, anche in questo caso, il Sindaco continua la sua disavventura gravandosi perfino del ruolo di paladino della SORICAL, nemmeno ne fosse il primo investitore (v. delibera n. 1/2012, con la quale il Comune ha rinunciato a tutti i giudizi pendenti con SORICAL). Vorremmo, sinceramente, continuare ad essere fiduciosi che il Sindaco Bruno Rosi possa cambiare rotta e fare meglio del Comandante Schettino, ma, visto che continua ad usare un proprio codice a noi sconosciuto che lo porta ogni giorno a gestire il Comune con assoluta negligenza e tante ombre che impediscono di garantire l’assenza di qualsiasi dubbio di legalità e trasparenza, crediamo sia più opportuno chiedersi: quanto tempo ancora dovrà trascorrere prima che qualcuno, responsabilmente e senza più alcun indugio, blocchi questa emorragia amministrativa, democratica, di legalità e di autorevolezza, a cui purtroppo la nostra millenaria cittadina è condannata?
DIRETTIVO MPA - AD SERRA SAN BRUNO
La recente indagine “Acqua sporca”, che ha portato al sequestro dell’invaso dell’Alaco e le ordinanze con le quali il sindaco di Serra ha vietato l’uso dell’acqua, ripropongono, per il quarto anno consecutivo, il problema connesso con la potabilità del prezioso liquido. Un dato singolare per una cittadina come la nostra, immersa nel verde e nel cuore del Parco Regionale delle Serre. Un fatto grave che sta generando apprensione nei cittadini che desiderano conoscere quali siano gli agenti inquinanti ed i rischi per la salute. Un problema che si trascina da tempo, senza, che allo stato, siano stati attuati adeguati provvedimenti da parte delle amministrazioni che si sono succedute. La vicenda, purtroppo, é stata sottovalutata anche dall’attuale maggioranza. A dimostrarlo due fatti, il primo: fino a pochi giorni addietro, lo stesso presidente del consiglio continuava a rassicurare i cittadini preoccupati invitandoli a consumare l’acqua del rubinetto. Il secondo: nel corso del primo anno di attività, l’amministrazione non ha messo in campo nessuna attività finalizzata a contrastare e prevenire l’insorgere del problema. Ora, al di là, delle diverse posizioni, giudichiamo opportuno lasciare da parte le polemiche per contribuire ad individuare una necessaria via d’uscita. Innanzitutto, invitiamo, l’amministrazione: a far apporre i necessari cartelli informativi sulle fontane pubbliche indicate nell’ordinanza che vieta l’uso dell’acqua; ad indicare, magari, sul sito del comune, le vie nelle quali viene distribuita l’acqua, ancora potabile, proveniente dalle sorgenti comunali; a predisporre un calendario della distribuzione con autobotte dell’acqua, al fine di far conoscere preventivamente ai cittadini il giorno, l’ora ed il luogo in cui avverrà la distribuzione. In attesa della programmazione e realizzazione di interventi che richiedono tempi lunghi, riteniamo necessario suggerire una strategia che, in tempi brevi, possa assicurare alle famiglie acqua finalmente potabile e buona da bere. Per tale ragione, suggeriamo al sindaco di attivarsi tempestivamente per interrompere la dipendenza da Sorical; ripristinare i pozzi comunali inutilizzati; programmare la realizzazione di nuovi pozzi; pianificare un piano d’intervento finalizzato ad eliminare gli sprechi d’acqua mediante la manutenzione straordinaria della rete idrica. Una serie d’interventi, per i quali, sono necessarie risorse economiche che possono essere recuperate attraverso la riduzione dei costi connessi alle forniture erogate da Sorical. Infine, riteniamo necessario ed opportuno che il comune citi in giudizio Sorical per tutelare i propri diritti, anche di natura economica, oltre che per il danno d’immagine arrecato alla nostra cittadina che, ancora una volta, si ritrova alle prese con un problema indegno di un paese civile.
Mirko Tassone (consigliere comunale 'Al lavoro per il cambiamento')
Riceviamo e pubblichiamo:
Finalmente! Era ora! La notizia del sequestro dell’invaso dell’Alaco che rifornisce di acqua 80 comuni calabresi, tra i quali, anche, Serra, consente, da una parte, di tirare un sospiro di sollievo, dall’altra, fa lievitare l’apprensione e le preoccupazioni dei cittadini/consumatori che, ormai, da anni, utilizzano quell’acqua per bere, cucinare, lavarsi etc. Ora, è necessario attendere l’esito delle indagini, anche per sapere cosa Sorical e soci ci abbiano propinato. In ogni caso, l’intera vicenda pone, ancora una volta, in evidenza il ruolo marginale e subalterno della politica. Eppure, che l’acqua non fosse buona, ormai, lo sapevano tutti o quasi, forse, anche, qualche amministratore comunale che, di giorno, invitava i cittadini a bere dal rubinetto e di sera andava a rifornirsi alla “scorciatina”. Che il problema fosse maledettamente attuale, lo si era intuito anche nella passata campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale, allorquando tutti i candidati avevano assunto impegni precisi per “staccare il comune da Sorical”. Il più originale, quello con la ricetta più persuasiva e convincente era stato, però, l’attuale sindaco, il quale aveva promesso un carico di picconi da consegnare ad “esperti boscaioli”, i quali, nelle vesti di rabdomanti avrebbero dovuto trovare l’acqua, incanalarla e portarla nelle case dei serresi. Ma parafrasando Rino Gaetano, gli attuali amministratori “partiti incendiari e fieri, sono arrivati pompieri”, nel senso che appena si sono insediati, non solo, non hanno affrontato il problema, ma lo hanno addirittura negato, in perfetta sintonia con quanto fatto, anche, prima del 2011. A ciò si aggiunga il silenzio pressoché assordante dei vari protagonisti politici degli ultimi anni. Eppure, come spesso accade, c’è sempre qualcuno che, pur non avendo mai proferito parola, alla fine dice “l’avevo detto!”. La verità, però, è un’altra, a sollevare il caso, facendolo entrare nell’agenda politica è stato un solo consigliere comunale, ovvero sottoscritto, il quale, in tempi non sospetti e in particolare il 9 luglio 2008 presentava una richiesta di accesso agli atti relativi alle analisi delle acque erogate nel territorio comunale. In data 5 agosto dello stesso anno, presentata un’interrogazione indirizzata al sindaco, dopo qualche giorno è stata diramata un’ordinanza per vietare l’uso dell’acqua. Le altre interrogazioni, portano le date del 2 settembre 2009; 20 luglio 2010; 1 agosto 2011. A ciò si aggiunga che, nell’indifferenza di molti, il 16 dicembre 2011 ho denunciato pubblicamente il contenuto della convenzione con la quale in cambio di 30 mila euro il comune rinunciava a tutte le controversie pendenti con Sorical. Potrei, inoltre, citare i moltissimi comunicati stampa, gli articoli o i servizi televisivi nei quali ho richiamato l’attenzione sul problema. Il tutto è chiaramente documentato e documentabile ed a disposizione di chi, eventualmente, volesse prenderne visione. Eppure a fronte di tutti questi interventi, delle continue ordinanze di non potabilità, nessuno, tra gli amministratori, si è mai preoccupato di guardare al di là del naso, al contrario, sindaci, assessori e consiglieri comunali succedutesi si sono sempre limitati ad esibire il, semplice, risultato delle analisi, anche, quando era evidentemente contraddetto dal colore e dall’odore dell’acqua. Che dire poi dei big della politica, come i consiglieri regionali, i quali, nonostante, Sorical sia una società le cui azioni sono detenute al 51 % dalla Regione Calabria, non si sono preoccupati di presentare neppure una semplice interrogazione per cercare di far luce su una vicenda che riguarda, in fin dei conti, la salute dei cittadini. Non solo, la politica si è fatta notare, ancora una volta, per la sua assenza e quando è intervenuta ha perso una buona occasione per tacere. Chi in passato ha minacciato di denunciarmi, chi ha, subdolamente, insinuato che l’acqua fosse artatamente colorata per screditare l’amministrazione, chi, irresponsabilmente, ha invitato i cittadini a bere dal rubinetto dovrebbe avere il pudore di chiedere scusa e dimettersi o per lo meno di tacere.
Mirko Tassone (consigliere comunale 'Al Lavoro per il Cambiamento')
Riceviamo e pubblichiamo:
Un nuovo interessante spettacolo nel cartellone dell’Associazione culturale “Tempo nuovo”. Sul palcoscenico del teatro “Impero”, a Chiaravalle (Cz), sabato 14 aprile, alle ore 21, approda “Appuntamento a Londra”, una pièce della quale è autore Mario Vargas Llosa (foto), uno dei più apprezzati scrittori di fama mondiale, Premio Nobel per la Letteratura nel 2010. La traduzione è di Ernesto Franco, la regia di Maurizio Panici. La rappresentazione è l’occasione anche di un duplice felice ritorno. Ne sono interpreti, infatti, Pamela Villoresi e David Sebasti, due artisti di spessore che il pubblico di “Tempo nuovo” ha avuto modo di apprezzare ed applaudire in precedenti stagioni. Novità assoluta per il teatro, in “Appuntamento a Londra” Mario Vargas Llosa propone alcune delle suggestioni a lui più care.
La storia che racconta è un’acuta e profonda riflessione sul tema dell’identità e sulla vita segreta delle persone.
Lo spettacolo è anche un’indagine sui valori dell’amicizia e dei sentimenti, su quel sottile filo che ci lega come esseri umani, come attrazione profonda dell’uomo per l’altro da sé.
Due amici d’infanzia e gioventù, entrambi peruviani, si ritrovano a Londra dopo molti anni durante i quali non avevano avuto più contatti.
Nel loro incontro rivivono il passato, mescolando bei ricordi con brutte storie che credevano oramai sotterrate o delle quali, forse, ignoravano l’esistenza.
Un teatro fortemente ispirato dalla letteratura in uno scambio fertile tra i diversi linguaggi espressivi.
Per info sull’attività di “Tempo nuovo” si può chiamare al numero 0967/92186, consultare il profilo facebook, scrivere all’indirizzo associazionetempoQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., o visitare il sito www.teatrotemponuovo.it.
Riceviamo e pubblichiamo:
In attesa di capire se sarà possibile rompere il muro di silenzio sollevato dalla maggioranza per tenere nascoste le inconfessabili motivazioni che hanno portato alla defenestrazione dell’assessore Zaffino, a sentire le dichiarazioni, più o meno ufficiali, rilasciate dal sindaco, a Serra non ci sarebbe nessun problema acqua. Il liquido che sgorga dai rubinetti, a suo dire, sarebbe potabile, quindi, buono da bere. In questi giorni, inoltre, sul sito ufficiale del comune sono stati pubblicati i risultati delle analisi dell’acqua, dai quali risulta che tutto è in regola, non c’è nessun problema, tutti i parametri sono perfettamente nella norma. Eppure qualcosa non torna. Da quasi dieci giorni, diversi cittadini continuano a segnalarmi l’acqua sporca che sgorga dai rubinetti delle loro case. Soprattutto dalle utenze situate tra via G.M. Pisani e viale Certosa continua sgorgare acqua sporca, giallognola e limacciosa. Le ultime segnalazioni, in ordine di tempo, risalgono, una, alla mattinata di venerdì scorso, quando un cittadino mi ha consegnato un campione prelevato dal rubinetto della propria abitazione (vedi foto) situata in prossimità di via G. M. Pisani, l’altra, di ieri mattina proveniente da un’abitazione ubicata in una delle traverse di via Catanzaro Nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione comunale che, inspiegabilmente, continua, a minimizzare, la situazione dell’acqua desta allarme e preoccupazione. Viene da chiedersi, quindi, come, alla presenza di prove incontrovertibili, si possa continuare a sostenere la bontà dell’acqua. Al contrario, ciò che sgorga nelle case di molti serresi non può essere assimilato in nessun modo all’acqua potabile. Tutti sanno che l’acqua gialla non esiste neppure nei cartoni animati dei Simpson, a Serra, invece, sta diventando la norma. Di fronte ad un problema di tale rilevanza non ci si può limitare a leggere i risultati della analisi che, con tutta evidenza, sono quotidianamente smentiti dalla realtà. A ciò si aggiunga, che quella dell’acqua, purtroppo, è una vicenda spinosa che si trascina da diverso tempo. Non è un caso, infatti, che il tema sia stato oggetto della campagna elettorale, tant’è che l’attuale sindaco aveva assunto impegni precisi, per quanto ridicoli, ovvero l’individuazione di nuove sorgenti mediante l’impiego di “boscaioli armati di piccone”. Viene, quindi, da chiedersi sulla base di quali elementi, gli attuali amministratori, possano, oggi, rassicurare i cittadini pur avendo candidamente ammesso di non aver fatto assolutamente nulla per risolvere il problema. Tanto più, se il problema era presente nel passato, non si capisce bene come possa essersi magicamente risolto. In ogni caso, per fugare ogni dubbio, sindaco ed assessori potrebbero sorseggiare pubblicamente l’acqua. Ovviamente quella gialla che sgorga dai rubinetti!
Mirko Tassone ("Al lavoro per il cambiamento")
Un attentato incendiario che ha provocato ingenti danni all'automobile di una vigilessa, S.M., di 40 anni. L'episodio e' avvenuto a Pizzo. La vettura (una Fiat Stilo), parcheggiata nei pressi dell'abitazione della vigilessa, e' stata cosparsa di liquido infiammabile e incendiata. Indagano i carabinieri, secondo i quali l'intimidazione potrebbe anche essere collegata ad una vendetta per l'attivita' lavorativa svolta da S.M..
Con la morte di Bruno Alfonso Pelaggi (“Mastru Brunu”) avvenuta il 6 gennaio 1912, esattamente un secolo fa, scompariva una delle voci più potenti e originali della poesia dialettale in Calabria. Pelaggi era nato a Serra San Bruno il 15 settembre 1837 da Gabriele e Giuseppina Drago e aveva trascorso una vita povera di avvenimenti esteriori, se si eccettuano l’arruolamento a 17 anni nella fanteria borbonica, l’incarico di consigliere comunale nella stessa Serra e, probabilmente, la nomina a giurato in un processo a Catanzaro. Come molti altri serresi del suo tempo, apparteneva al ceto degli artigiani (“Mastranza di la Serra”, li definiva un noto strambotto popolare) avendo lavorato tutta la vita come scalpellino, certamente con una buona conoscenza del mestiere, se è vero che Mastro Bruno fu uno degli artigiani locali che contribuirono, alla fine del XIX secolo, alla ricostruzione della Certosa gravemente danneggiata dal terremoto settecentesco. Il mestiere svolto da Pelaggi, insieme con il fatto che abitualmente dettava i propri componimenti poetici (“li stuori”) alla figlia Maria Stella, contribuirà in modo determinante a coniare il luogo comune di “poeta-analfabeta” – altre volte declinato sotto la forma più descrittiva di “poeta-scalpellino” – che si era impadronito delle tecniche di versificazione grazie a una sorta di “sapienza” istintiva, di intuizione poetica naturale, indipendente da qualsivoglia formazione culturale. Sicuramente, Mastro Bruno non pubblicò mai nulla e le sue poesie si trasmisero in forma orale e mediante manoscritti, non autografi e forse non di unica mano, circostanza che autorizza a parlare di una tradizione per diversi aspetti malsicura. Anche per questo motivo esiste nella storia della letteratura calabrese un problema-Pelaggi – com’è autorevolmente attestato dagli studiosi che hanno avuto modo di occuparsi del poeta (da Umberto Bosco a Pasquale Tuscano, da Pasquino Crupi a Sharo Gambino e Antonio Piromalli) – di cui l’occasione celebrativa deve spingere a indicare sinteticamente le caratteristiche essenziali.
La questione appare evidente quando si analizza lo stato delle fonti, sulle quali le edizioni disponibili delle poesie pelaggiane non aiutano a chiarificare i numerosi dubbi in maniera definitiva. Intanto, se si esclude una raccolta curata da Sharo Gambino nel 1973 che non può considerarsi una vera e propria edizione delle “storie” poetiche di Pelaggi, il lettore può rivolgersi a quattro diverse pubblicazioni: “Le poesie di Mastro Bruno” (a cura di Angelo Pelaia, Catanzaro, Tip. FATA, 1965); “Tutte le poesie” (a cura di Biagio Pelaia, Serra San Bruno, Tipo-Legatoria Mele, 1976); “Poesie” (a cura di Giampiero Nisticò, Chiaravalle Centrale, Edizioni Effe Emme, 1978) e “Li stuori (Le poesie)” (a cura di Biagio Pelaia, Serra San Bruno, T. L. M., 1982). Ma, atteso che tali diverse edizioni si presentano tutte come sillogi complete delle poesie di Mastro Bruno, quel che colpisce subito, già a una prima comparazione, è il differente numero di componimenti raccolti: ventuno nel volume del 1965, venticinque in quello del 1976, rispettivamente ventisei e ventinove nelle ultime due. Vale a dire che dal 1965 al 1982 hanno fatto il loro ingresso nel corpus poetico pelaggiano ben otto nuove composizioni tra poesie e frammenti. Non solo, ma delle medesime poesie si possono, talvolta, notare, tra un’edizione e la successiva, aggiunte di versi e strofe anche in misura significativa. Per esempio, il componimento “La pigghiata di Zzimbariu” nell’edizione curata da Biagio Pelaia nel 1976 consta di 36 versi, che diventano 69 nell’edizione del 1982 dovuta allo stesso curatore. Analogo il “destino” della poesia “Amici di Tibberiu”, che appare per la prima volta nell’edizione Nisticò del 1978, ma con le sole prime sette strofe, alle quali si aggiungono ulteriori diciotto strofe, per un totale di venticinque, nell’edizione Pelaia del 1982. Per non dire delle varianti che è possibile osservare e per le quali può capitare che non si fornisca a loro giustificazione un riscontro documentale, ma, come accade in un verso della poesia “A ‘Mbertu Primu”, ci si limiti a notare che “il concetto si rende meglio” con una nuova espressione che modifica la lectio sino a quel momento trasmessa. Il fatto è che, come si evince dalle suddette edizioni delle poesie pelaggiane, le fonti di questi componimenti si riducono all’incerta tradizione orale e a imprecisati manoscritti intorno ai quali non sussiste l’accordo degli stessi curatori. Basti pensare che Angelo Pelaia, a cui è dovuta la prima edizione dei versi di Mastro Bruno, si riferisce come fonte soltanto a un quaderno scritto nel 1915 (tre anni dopo la morte di Pelaggi) da un’amica della figlia del poeta, mentre Biagio Pelaia, nella premessa alla sua edizione del 1976, dichiara di non condividere tale posizione perché, a suo dire, non sarebbe possibile escludere la grafia della figlia medesima, considerato che di questa non sono pervenuti autografi. Con la conseguenza, in difetto di una tradizione manoscritta sicura sull’intero corpus delle poesie, che i curatori talvolta si affidano esclusivamente, per la ricostruzione del “dettato” del poeta, a ipotesi di tipo logico o a considerazioni di natura linguistica o a interpretazioni motivate dal contesto storico-sociale. D’altra parte, non mancano nemmeno perplessità e interrogativi in merito all’attribuzione di tali poesie, se Giampiero Nisticò ne ha riconosciuto come inequivocabilmente attribuibili a Pelaggi ventidue, ne ha espunto in modo categorico altre tre (tra cui la notissima “Alla Vergini Maria”), mentre ha ammesso tra i componimenti autentici la celebre “Alla luna”, rivelando, però, per il solo fatto di averne discusso, l’esistenza di un “retroterra” problematico riguardo a tale attribuzione. Quel che si può dire con certezza è che la pubblicazione della prima edizione delle poesie ha certamente incoraggiato ulteriori “scoperte”, promuovendo, in qualche modo, anche il “recupero” di una parte della tradizione orale per molto tempo rimasta nell’oblio. Proprio per questo, sembra oramai necessario auspicare un’edizione critica, al momento lontana da venire, che provi a sciogliere i diversi nodi attualmente rimasti irrisolti.Parallelamente, si renderebbe indispensabile una seria ripresa degli studi intorno al poeta, anche per chiarire le controverse questioni critiche e interpretative che scaturiscono dai suoi versi. Prima tra tutte quella relativa al rapporto con il ministro di origini serresi Bruno Chimirri (1842 – 1917), apparso a molti, in particolare nel componimento “Don Bruninu Chimirri e li sirrisi”, esageratamente adulatorio: “Don Bruninu Chimirri è galantuomu, / ca di nudhu giammai si vindicàu. / Vui lu sapiti tutti quant’è buonu / e quant’offesi si dimienticau; / e lu sapiti ch’allu sulu nuomu / l’Italia tutta la frunti ‘nchinau / […] Jio poeta non su’, ca scarpidhìnu, / ma dicu sempi «Viva Don Bruninu!»”. Circostanza che è sembrata ancor più degna di nota se si considera che si tratta del medesimo poeta il quale, con accenti lirici indubbiamente più alti rispetto all’occasionale poesia dedicata al Chimirri, ha dato voce alla condizione storica dei calabresi nei decenni successivi all’unificazione nazionale e nella fase di passaggio tra Otto e Novecento, presentandosi, agli occhi della critica, come autore di una poesia di contestazione che non soffre di timori reverenziali nel prendersela con ministri e deputati o nell’alzare il proprio grido di dolore a Dio (“Non bidi, o Patritiernu, / lu mundu mu sdarrupi, / ch’è abitatu di lupi / e piscicani? / Priestu, mina li mani! / Vidi cuomu mu fai, / càcciandi di ‘sti guai, / manneja aguannu”). Da qui un giudizio critico che vuole Mastro Bruno poeta autentico soprattutto quando è poeta della protesta, riconducendo nella cornice del bozzettismo, della satira arguta e dei componimenti d’occasione quasi tutto il resto della sua produzione poetica. Un giudizio, probabilmente, da riconsiderare con attenzione, non certo per rovesciarlo nel suo contrario, ma per restituire Pelaggi a una dimensione meno unilaterale e più piena, quella della poesia senza ulteriori specificazioni e aggettivi.
(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)
In risposta alle dichiarazioni rilasciate ieri da Agazio Loiero, relativamente alle presunte nuove assunzioni nella Sanità, i capigruppo di maggioranza in Consiglio regionale in una nota congiunta affermano: "Evidentemente l’ex Presidente della Regione Calabria Agazio Loiero ha la memoria corta ed ha già dimenticato come, in poco più di un anno, riuscì a battere ogni record autorizzando, nella sanità, oltre 2500 assunzioni. Stia tranquillo Loiero, le assunzioni di cui parla nella nota stampa indirizzata a Scopelliti, è bene precisare, sono previste dalla legge soprattutto per garantire i Lea e per le quali il Commissario Scopelliti e la struttura hanno già ampiamente fornito al Tavolo Massicci tutte le motivazioni. In particolare riguardano 236 unità a tempo determinato e 66 a tempo indeterminato. Nei dettagli, per quelle a tempo determinato, si tratta per la gran parte di provvedimenti obbligati per garantire i Lea (sostituzioni di personale per gravidanze, malattia ecc..). Le assunzioni a tempo indeterminato, 66 in totale, sono le seguenti: 10 per ottemperare a contenziosi di lavoro, 2 per reintegro in servizio comm. medica di verifica, altrettanti 2 per medicina penitenziaria ai sensi del Dpcm 1.4.2008, 1 per mobilità Afor, 14 per mobilità per compensazione, 1 trasferito ai sensi dell’art.1 c.5. legge 100/87 e dell’art. 17 l.266/99, 13 per mobilità regionale e 23 assunzioni obbligatorie di disabili ai sensi della legge 68/99. Assunzioni, tutte, è opportuno ribadirlo, che rivestono il carattere dell’obbligatorietà, pena sanzioni ai Direttori Generali. Non ci risulta che Loiero con le sue 2509 assunzioni abbia agito solo per garantire i Lea e, comunque, secondo criteri di indifferibilità. Nei dettagli, con Loiero ci furono 698 unità assunte nel 2009 di cui solo 291 dirigenti medici e sanitari. A questi si aggiunsero i 1753 precari. Nel primi mesi del 2010, in piena campagna elettorale, furono autorizzate altre 58 assunzioni di cui 45 dirigenti medici. In totale 2509 unità in poco più di un anno. Tutte a tempo indeterminato. Come si coniugano queste assunzioni con il dichiarato esubero di personale (circa 3000 unità!) evidenziato nel piano di rientro sottoscritto da Loiero? Dalla nota dell’ex Presidente, in ogni caso, si evincono alcuni elementi interessanti. Secondo quanto dichiarato la politica non può non sapere. Allora Loiero non poteva non sapere se le oltre 2509 assunzioni in poco più di un anno (e non 66 a tempo indeterminato e 238 a tempo determinato) sono state fatte ignorando l’esubero esistente ed utilizzando non si sa quali criteri per l’individuazione delle necessità. Ad esempio, nell’azienda ospedaliera di Reggio Calabria, dove alcune assunzioni fanno nascere dubbi relativamente alla scelta di potenziare dei reparti rispetto ad altri. Un’ultima considerazione. Ma Loiero si è accorto che il Tavolo Massicci ha deliberato lo sblocco di 220 milioni di premialità e ci ha autorizzato ad avviare le procedure per la copertura del debito ante 2005, con la sottoscrizione dell’accesso al mutuo? Come mai non ha commentato tutto ciò? Questo, ricordiamo a Loiero è solo il frutto del nostro lavoro, attento e scrupoloso, che ci ha fatto apprezzare, rispettare e rendere credibili agli occhi degli ispettori ministeriali al Tavolo Massicci".
Il presidente provinciale dell'UDC Sabrina Caglioti e il consigliere regionale Ottavio Bruni si dicono soddisfatti a metà in merito alla quesione dei 31 precari, 21 dei quali medici, dell'Azienda Sanitaria i cui contratti sono stati di recente rinnovati fino al 31 marzo. Una soluzione che non appaga a pieno le aspettative dei due rappresentanti crociati inquanto, a loro dire, il rischio di paralisi dell'ospedale Jezzolino è stato solo rimandato al 31 marzo e non completamente risolto come invece ci i auspicava. Il presidente Caglioti e l'onorevole Bruni, pur prendendo atto e apprezzando il contributo profuso durante l'incontro con i commissari dell'ASP dal governatore Scopelliti (commissario ad acta della sanità in calabria), ritengo che la questione non debba cadere nel dimenticatoio.«Sarebbe opportuno che tutti coloro i quali sono in questi giorni intervenuti per sciogliere il nodo della proroga dei contratti ai 21 medici e all'altro personale precario dell'Asp e non ultimo lo stesso presidente Scopelliti si preoccupassero di garantire la certezza del futuro a questi professionisti, la maggior parte dei quali, fra l'altro, vincitori di concorso. Riteniamo che da oggi si debba puntare a raggiungere un solo obiettivo che è quello di un piano di stabilizzazione per i 21 medici e gli altri dipendenti dell'Asp coinvolti in questa situazione». Otto dei 21 medici precari dell'Asp di Vibo Valentia operano nel Pronto Soccorso, e se il contratto non venisse risolta la situazione dei contratti le ripercussioni sull'erogazione dei servizi sarebbe gravissima. Si riscierebbe infatti, un effetto domino in tutta la provincia con seri disagi per il Pronto Soccorso dell'ospedale di Serra San Bruno e per la Postazione di Primo Intervento di Soriano Calabro, oltre naturalmente alla chiusura di diversi reparti dell'ospedale vibonese. «Quando parliamo di piano di stabilizzazione – proseguono i due UDC – ci riferiamo, da una parte, al fatto che è necessario garantire un futuro ai medici, ma dall'altra riteniamo indispensabile continuare a garantire i livelli essenziali di assistenza alla popolazione vibonese. I due aspetti sono due facce della stessa medaglia e non si può considerare l'una senza tener conto dell'altra. Ecco perché la proroga dei contratti sino al 31 marzo ci soddisfa a metà, anche perché nelle altre province i contratti sono stati prorogati per 12 mesi e non per tre»
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