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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
A distanza di circa dodici anni, la Corte di Cassazione ha posto la parola fine agli omicidi di Nicola Abruzzese ed Antonino Bevilacqua, freddati a cavallo tra il 2003 ed il 2004, nell'ambito della guerra per il predominio della vasta area della Sibaritide.
La Polizia cantonale ha arrestato nei giorni scorsi in Svizzera Antonio Montagnese, 35 anni di Fabrizia, ritenuto al vertice dell'omonimo clan Montagnese-Nesci, e già condannato in Cassazione ad una pena di 9 anni di reclusione con l'accusa di associazione mafiosa. Il 35enne era rimasto coinvolto nell'operazione “Domino”, scattata nel 2007. Montagnese è il genero di Bruno Nesci, anche lui al vertice della consorteria mafiosa. Subito dopo la sentenza della Cassazione, arrivata nel maggio di quest'anno che ha certificato l'esistenza di un locale di 'ndrangheta a Fabrizia, Montagnese si era dato latitante in Svizzera, ma la Polizia Cantonale dopo mesi di ricerche è riuscita a rintracciarlo.
I carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone, hanno tratto in arresto nella mattinata odierna Girolamo Macrì, 36 anni, di Soriano Calabro, coinvolto assieme ad altre persone nell'operazione 'Low Cost', scattata nel 2010, con la quale si è fatto luce su un presunto giro di estorsioni ed usura. Macrì, nell'ottobre scorso, era stato condannato dalla Corte di Appello di Catanzaro ad una pena di 3 anni ed 8 mesi. Ebbene, la Cassazione ha confermato la sentenza emessa in secondo grado ed il 36enne è stato, dunque, condotto in carcere. Stesso provvedimento è stato emesso nei confronti di Domenico Monardo, 42enne di Soriano Calabro, il quale invece dovrà scontare una pena di 6 anni e 8 mesi.
Una sentenza, quella arrivata oggi dalla Corte di Cassazione, che oltre a confermare le condanne a sfavore dei quattro imputati coinvolti nell’operazione antimafia “Domino”, ha anche di fatto certificato - per la prima volta in sede giudiziaria - l’esistenza della locale di Fabrizia, i cui esponenti sono individuabili nei referenti del clan ‘ndranghetistico Nesci-Montagnese.
L’operazione, scattata nel giugno 2007, aveva acceso i riflettori sulla locale costituita nel centro montano delle Serre vibonesi. Il verdetto ha, dunque, condannato a dodici anni di reclusione Bruno Nesci, 57 anni, e a nove anni il genero Antonio Montagnese, 35 anni, entrambi imputati del reato di associazione mafiosa. I due, residenti a Fabrizia, erano stati assolti in primo grado dal Tribunale di Vibo Valentia, ma in seguito, in appello il pm della Dda di Catanzaro, Giampaolo Boninsegna, era riuscito a convincere la Corte a ribaltare il verdetto, convalidato oggi anche dalla Suprema Corte.
La Cassazione, nell’ambito dello stesso filone processuale, ha confermato anche la condanna a dieci anni di reclusione ciascuno per Antonio Dessì e Domenico Audino, entrambi di Locri e ritenuti responsabili di un tentato omicidio proprio ai danni di Bruno Nesci, consumato nel 2004 a Fabrizia. Mandanti dell’esecuzione sarebbero stati i referenti del clan avversario dei Mamone.
Dessì ed Audino incassano quindi una nuova condanna dopo quella rimediata nel processo per l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno avvenuto a Locri il 16 ottobre del 2005.
La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato la decisione con la quale il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, il 6 dicembre 2012, aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l' ex assessore comunale, Bruno Zaffino (foto), emessa il 31 ottobre 2013 dal Giudice per le indagini preliminari della città dello Stretto nell’ambito dell’operazione ‘Saggezza’. Tutto da rifare, insomma, considerato che i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso presentato dal legale dell’ex assessore della città della Certosa, l’avvocato Giovanni Vecchio. Oltre a profili di legittimità ci sarebbero anche alcuni vizi di motivazione legati alla decisione del Tdl. Zaffino fu arrestato nel novembre dello scorso anno, in quanto coinvolto nell’operazione ‘Saggezza’, condotta dalla Dda di Reggio Calabria. Nei suoi confronti pesava l’accusa di violenza privata aggravata dal metodo mafioso. L’ ex assessore della giunta guidata dal sindaco Bruno Rosi avrebbe minacciato un rappresentante di un'azienda di Bari operante nella commercializzazione del legname, costringendolo con metodo mafioso a rinunciare alla vendita di 12mila pali di castagno per favorire invece l’azienda di Marcello Cirillo, 54enne di Fabrizia ritenuto dagli inquirenti vicino al boss ucciso Damiano Vallelunga. Il Tribunale del Riesame, poi, a dicembre ha rigettato il ricorso presentato dal suo legale di fiducia, Giovanni Vecchio, opponendosi quindi alla scarcerazione del consigliere comunale eletto con il Pdl. A febbraio, il Gip distrettuale di Reggio Calabria, Adriana Trapani, ha accolto l’istanza presentata dall' avvocato di Zaffino, rimettendo in libertà l’ex assessore. A questo punto, considerata la decisione della Cassazione, Zaffino dovrà presentarsi nuovamente davanti al Tribunale del Riesame che, a sua volta dovrà pronunciarsi tenendo conto dei paletti dei giudici della Suprema Corte. Il processo si svolgerà comunque e proseguirà l'iter previsto dalla legge. Zaffino rimane indagato con l'accusa di violenza privata aggravata dal metodo mafioso.
SERRA SAN BRUNO - Sono stati disposti gli arresti domiciliari per Vito Gallè, inizialmente ritenuto responsabile del duplice omicidio di Angelo Cravè, 42 anni e Giuseppe Campese, 35, avvenuto nel popoloso centro montano la mattina del 18 febbraio 2008. La Corte di Cassazione, in particolare, il 10 gennaio scorso ha annullato, con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, la sentenza di condanna a 18 anni di carcere inflitta in appello il 29 giugno 2009. Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere, i giudici della Cassazione avrebbero individuato tutta una serie di illogicità sia nella sentenza della Corte d’ Assise che in quella emessa dalla Corte d’ Assise d’ Appello. I giudici, dunque, hanno accolto il ricorso presentato dagli avvocati difensori di Gallè, Giancarlo Pittelli e Maurizio Albanese, che puntavano a mettere in luce la mancanza di motivazione nell'attribuzione di credibilità all'unico testimone oculare del fatto. Gli avvocati hanno inoltre rilevato la contraddittorietà tra la sentenza di condanna della Corte d'assise d'appello e la sentenza con cui il Gip di Vibo Valentia aveva condannato il padre di Vito Gallè, Salvatore Rocco, a 20 anni, poi ridotti a 12 in appello. Non solo: la Cassazione ha ritenuto contradditoria l'attribuzione della responsabilità del duplice omicidio sia al padre che al figlio, ed ha annullato la sentenza anche in merito al mancato riconoscimento da parte dei giudici della Corte d'assise d'appello della provocazione come attenuante del fatto di sangue, scaturito da controversie legate ad una servitù di passaggio e preceduto da "violente prevaricazioni e da gravi minacce - hanno eccepito i difensori - subite per lungo tempo dalla famiglia Gallè". Tutto da rifare, dunque, con la Cassazione che ha deciso di rinviare il processo alla Corte d’ Appello.
I carabinieri della Stazione di Vibo Valentia hanno arrestato Carmelo Lo Bianco, 81 anni, capo dell’omonimo clan operante nella città di Vibo Valentia. L'arresto è avvenuto in ottemperanza ad un ordine di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale di Catanzaro. Il cumulo di pene che Carmelo Lo Bianco, condotto nel carcere di Vibo, dovrà scontare è pari ad 11 anni e 4 mesi di reclusione.
Il 10 maggio 2012 la Cassazione l’aveva condannato a 5 anni e quattro mesi per i reati di usura ed estorsione, aggravate dal metodo mafioso, ai danni del fotografo vibonese Nello Ruello, poi divenuto testimone di giustizia. Un’altra condanna a 12 anni di carcere Carmelo Lo Bianco l’aveva rimediata per associazione mafiosa nel processo nato dall’operazione «Nuova Alba», mentre nell’ambito dell’operazione denominata «The Goodfellas» dopo la condanna a 4 anni in Appello, sempre per associazione mafiosa, manca solo il verdetto della Cassazione.
VIBO VALENTIA - Sono state condotte in carcere dagli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia 8 delle 21 persone coinvolte nell'operazione "New Sunrise", che fece luce sulle attività criminali della cosca di 'ndrangheta dei Lo Bianco sul territorio della città capoluogo di provincia. Le condanne, per gli affiliati alla 'ndrina egemone su Vibo città, sono diventate definitive dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione. Gli 8 arrestati sono: Carmelo Lo Bianco, 66 anni, condannato a 10 anni di reclusione; Francesco Barba, 49 anni, condannato a 5 e 8 mesi; Salvatore Carmelo D'Andrea, condannato a 4 anni e 8 mesi; Michele Lo Bianco, 63 anni, condannato a 4 anni e 8 mesi; Giuseppe Lo Bianco, 66 anni, a 4 anni e 8 mesi; Antonio Lo Bianco, 63 anni, a 4 anni e 8 mesi; Vincenzo Barba, 59 anni, a 7 anni e 4 mesi; Francesco Bognanni, 38 anni, a 4 anni e 8 mesi. Per quasi tutti gli arrestati si tratta di pene residue da scontare rispetto alle condanne confermate dalla Cassazione, per cui molti di loro già alla fine del 2012 potrebbero tornare in libertà.
L'inchiesta "New Sunrise" fu condotta nel 2007 dalla Dda di Catanzaro e dai poliziotti della Mobile vibonese guidata all'epoca dal dirigente Maurizio Lento. L'operazione accese i riflettori sulle attività della cosca e sul ruolo di vertice della stessa svolto da Carmelo Lo Bianco (foto). "La cosca - scrive la Mobile - avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà dei cittadini, era stabilmente dedita al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio (prevalentemente estorsione e usura) e contro la persona, reati compiuti al fine di mantenere incontrastata l'aggregazione della cosca".
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