Nell’interrogazione, chiediamo al presidente del Consiglio e ai ministri della Sanità, della Giustizia e dell’Ambiente “se non ritengano necessari interventi per la chiusura dell’invaso, in attesa delle verifiche circa i sedimenti e previa predisposizione, secondo competenze, di un piano per un diverso approvvigionamento idrico dei comuni finora serviti”.
Sappiamo bene, come le associazioni, che una chiusura immediata dell’invaso sarebbe problematica. Per questo, apprezzando il lavoro del prefetto di Vibo Valentia Michele Di Bari – subito operativo nel fronteggiare lo scollamento istituzionale degli anni passati e nel pretendere le analisi dei sedimenti – noi deputati Cinque Stelle chiediamo che, nell’attuale incertezza sulla potabilità dell’acqua, si verifichi a tutti i livelli un’ipotesi di chiusura, predisponendo all’occorrenza l’alternativa.
Nell’interrogazione, abbiamo poi ripercorso i passaggi amministrativi dell’invaso dell’Alaco, per Sebastiano (Barbanti) “il simbolo dell’intreccio politico-mafioso che ama brutalizzare la Calabria e i suoi cittadini”. Inoltre, nell’atto compare una memoria sulle mancate risposte alle precedenti interrogazioni e in sintesi figurano le inchieste della magistratura legate agli organismi di gestione; da cui, stando alle ipotesi di reato, emerge un quadro sconfortante riguardo ai rapporti fra politica e pubblica amministrazione, al solito a danno dei cittadini.
“Il tema dell’acqua è centrale – conclude Paolo (Parentela) – nell’attività politica del Movimento. Stiano attenti gli speculatori, perché da qui in avanti controlleremo e pubblicheremo tutto, vigilando su ogni intervento istituzionale, pretendendo risposte definitive e imponendo un altro sistema sulla gestione dell’acqua, bene comune”.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
PRIMO FIRMATARIO DALILA NESCI. PAOLO PARENTELA, FEDERICA DIENI, SEBASTIANO BARBANTI. Al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute, al Ministro dell’Ambiente e al Ministro della Giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel 1978 fu approvato il progetto di realizzazione dell’invaso artificiale dell’Alaco, in provincia di Vibo Valentia, che attualmente rifornisce di acqua potabilizzata 88 comuni delle Province di Catanzaro e Vibo Valentia, circa 400 mila abitanti;
dall’appalto, avvenuto nel 1985, vi furono sei perizie di variante e nove sospensioni dei lavori, con vizi procedurali (mancanza di nullaosta paesaggistico e di Valutazione d’Impatto Ambientale, secondo l’interrogazione parlamentare a risposta scritta n. 4/12032 del 12/7/’95, in corso, dell’on. Giuseppe Soriero) e con un iter che determinò un aumento esponenziale dei costi;
nondimeno, nella fase di edificazione della diga dell’invaso, si manifestarono perplessità su dissesto idrogeologico e modificazioni dell’ecosistema, anche per il tramite di atti di sindacato ispettivo (interrogazione dell’on. Soriero di cui sopra e analoga per tipo, procedimento definito, dell’on. Mauro Paissan, n. 4/15439, del 10/2/’98);
nel 2002, la Corte dei Conti, sezione regionale, accertò un danno erariale di 68.505.369,28 euro;
nel marzo del 2012 – per come ribadito nell’interrogazione parlamentare a risposta scritta dell’on. Angela Napoli, n. 4/16711 del 21 giugno 2012, ancora in corso – l’inchiesta giudiziaria denominata «Ceralacca», della DDA di Reggio Calabria, portò in carcere nove persone, alcune delle quali legate a cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro e tre funzionari del gestore So.Ri.Cal, con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio;
il 17 maggio 2012 i Carabinieri del Nas di Catanzaro sequestrarono l’invaso e l’impianto di potabilizzazione, compresi gli apparati idrici dello schema d’acquedotto, con 26 indagati tra dirigenti e tecnici del gestore So.Ri.Cal., responsabili di Aziende Sanitarie Provinciali, dirigenti regionali e dell’Arpacal, formulando la Procura di Vibo Valentia ipotesi di avvelenamento colposo e frode in pubblica fornitura;
negli atti della predetta inchiesta, cd. «Acqua Sporca», precisamente nella relazione di Antonio Tomaino, esperto, CTU della Procura vibonese, è scritto che «l’acqua erogata risulta inutilizzabile per l’uso umano»;
si legge – pubblicata sul blog del giornalista calabrese Emilio Grimaldi e ripresa nell’inchiesta video “Acquaraggia”, in onda nella trasmissione “Crash” (Rai), del novembre 2012 – in un’intervista di Maurizio Remo Reale, ex dipendente presso l’impianto di potabilizzazione Alaco, che già nel 2006 «l’acqua dell’invaso presentava una grossa problematica a causa del disfacimento chimico delle piante del fondale», che «il disboscamento eseguito prima dell’invaso non era stato portato a termine o l’invaso era stato eseguito diverso tempo dopo aver pulito», che «l’impianto Alaco era dotato di un solo compattatore di fanghi, sottodimensionato», e che la stazione di filtraggio non aveva requisiti idonei;
la custodia giudiziaria degli impianti sequestrati è affidata, oltre ad altri, al sig. Marco Merante, il quale risulta essere il marito di una lavoratrice dell’ufficio legale del gestore So.Ri.Cal;
secondo la testata web “Il Vizzarro.it”, nominati i custodi giudiziari, a tre mesi dal riferito provvedimento della Procura è stato accertato (solo) su segnalazione del Comitato Civico pro Serre il pascolo di bovini in aree sequestrate, con pericoli, peraltro, per la salubrità delle acque;
l’allargamento dell’inchiesta «Acqua Sporca» portò a ulteriori 20 avvisi di garanzia, indirizzati a sindaci o ex sindaci di comuni serviti dal sistema dell’Alaco, che avrebbero omesso nel tempo di effettuare le analisi stabilite dal Dlgs 31/2001;
il 6 dicembre 2012 l’Arpacal prelevò dei campioni in uscita dall’impianto, da cui emerse la presenza di benzene nell’invaso, con un valore 800 volte superiore alla norma;
i risultati furono resi pubblici solo il 29 gennaio u.s. e il 30 gennaio l’Arpacal dichiarò che «per un mero errore di trascrizione, nelle acque dell’Alaco non è presente benzene ma, piuttosto, composti aromatici alogenati derivati dal benzene», aggiungendo che i medesimi non sono previsti nella tabella degli elementi indicati dal Dlgs 31/2001;
a chi adesso interroga risulta in corso un’indagine penale, dopo intervento del Prefetto di Vibo Valentia, per risalire ad eventuali responsabilità sul suddetto caso del benzene e per determinare compiutamente la potabilità o meno dell’acqua dell’invaso;
nel febbraio scorso il biologo Silvio Greco dichiarò a “Il Quotidiano della Calabria” che sul piano scientifico la formula di giustificazione dell’Arpacal sarebbe stata vaga e nel campione del 6 dicembre scorso potevano esserci, in realtà, sostanze più pericolose del benzene;
circa le analisi dell’Arpacal, diversamente da analoghe agenzie, non risulta esserci l’accreditamento di “Accredia”, unico organismo nazionale autorizzato dallo Stato a svolgere attività di controllo in conformità agli standard internazionali della serie Iso 17.000;
secondo “Il Quotidiano della Calabria” on line (articolo di Stefania Papaleo del 18 gennaio 2013), i vertici dell’Arpacal, di nomina politica, sono indagati per avere attestato falsamente di essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, cioè una «comprovata esperienza tecnico scientifica in materia ambientale» e «cinque anni di attività professionale riconducibile all’incarico», mentre per abuso d’ufficio è invece indagato, nella stessa inchiesta, il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Talarico;
il Prefetto di Vibo Valentia ha richiesto all’Asp di Vibo Valentia la pubblicazione on line dei risultati delle analisi delle acque, ma detta pubblicazione non è ancora del tutto disponibile;
il Prefetto di Vibo Valentia ha richiesto analisi di campione dei fondali dell’invaso, per verificare eventuali tracce di radiogeni -:
di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e quale sia la propria valutazione con riguardo agli aspetti di competenza;
quali misure ritengano opportune, alla luce dei fatti esposti, a tutela della salute della popolazione e della salvaguardia dell’ambiente;
se non ritengano necessari interventi per la chiusura dell’invaso, in attesa delle verifiche circa i sedimenti e previa predisposizione, secondo competenze, di un piano per un diverso approvvigionamento idrico dei comuni finora serviti;
se non intendano acquisire, per quanto finora narrato, ogni ulteriore elemento in relazione alla gestione del servizio idrico integrato in Calabria da parte di So.Ri.Cal. e ai protocolli di comunicazione tra questi, le Aziende Sanitarie Provinciali e l’Arpacal;
se siano a conoscenza di altri elementi, in ordine all’intera gestione dell’impianto, che determinino delle incompatibilità di ruoli.