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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Ieri, in quella casa di tre metri quadri, dove lo attendono due bambine (una è la moglie di diciannove anni e una è la figlia di cinque mesi), vedevo accanto ad una immensa statua di San Michele Arcangelo (tipica della simbologia di ‘ndrangheta), la sua zampogna. Quella che gli hanno regalato i suoi parenti, i suoi zii, che non lo hanno mai abbandonato o lasciato solo. Nella foto Massimo è con l’Associazione Il Brigante al raduno delle zampogne organizzato in onore di suo nonno, “Brunu lu nigaru”. Migliaia di ramanzine, di tirate di orecchie e qualche sonoro ceffone: niente. Quella statua, che rappresenta (per chi ne fa parte) la mafia, accanto alla probabile vita che avrebbe potuto avere, magari, se Pino, suo fratello (morto di tumore a trent’anni) gli fosse stato vicino, o se sua Madre non fosse morta dello stesso male, se suo padre non si fosse “rifugiato” nell’alcool. Un’altra vittima della mentalità perbenista, della cultura dell’emarginazione violenta e della segregazione in caste o ceti o classi sociali. Una società forcaiola e giustizialista che condanna e mette ai margini. Mi vengono in mente le parole di Fabrizio De Andrè, parole vuote se cantate con gli amici o ascoltate superficialmente, ma che descrivono molto bene quello che vorrei dire.
“Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo”.
Spero che Massimo sia ancora vivo, e che ne abbia combinata un’altra delle sue. Spero che torni a casa dalla sua famiglia che lo piange disperato. C’è bisogno anzitutto di una diversa impostazione della società, che non sia volta all’individualismo e alla negazione dei diritti di una vita normale. Una società che corre all’impazzata e lascia dietro i deboli e gli ultimi, rigirandosi ogni tanto per guardare e giudicare. Odio i luoghi comuni, chi giudica, chi si sente estraneo a queste cose e poi fa la morale. Odio uno stato che scarcera “Batman” dopo un mese per aver rubato milioni e condanna “a cinquemila anni” un povero disgraziato. Odio uno Stato che non concede nessuna forma di assistenza sociale ai disagiati e li lascia in balia della malavita e della barbarie. Nessun appello, perché se qualcuno gli ha fatto del male, se ne sbatte del mio pensiero e delle mie considerazioni. Non voglio neanche ergermi a giudice e cercare dove sia il torto e dove sia la ragione. Mi sento in prima persona moralmente responsabile della scomparsa di Massimo, perché avrei dovuto evidentemente fare di più. Parafrasando ancora Faber, concludo questo sfogo con altre sue parole: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
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