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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
La Corte di Cassazione ha confermato l’incandidabilità dell’ex assessore comunale di Mongiana Cosimo Damiano Foti, eletto alla carica di consigliere alle Amministrative del maggio 2019 e nominato assessore dal primo cittadino Francesco Angilletta. La Suprema Corte, infatti, ha respinto il ricorso presentato da Foti avverso la dichiarazione di incandidabilità decretata nell’ottobre 2019 dalla Corte d’Appello di Catanzaro, in seguito alla quale Foti decise di rassegnare le dimissioni sia da assessore che da consigliere comunale. In particolare, i giudici d'appello hanno sostenuto che Foti avrebbe avuto «rapporti di frequentazione con la famiglia Vallelunga e di parentela con le famiglie Emanuele e Pisano, legate ad ambienti mafiose, che hanno condizionato gli esiti delle elezioni e che sono risultate vicine a ditte aggiudicatarie di lavori affidati dal Comune». Il 12 luglio 2012 veniva disposto lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose e, all’epoca, all’interno dell’esecutivo capitanato dall’allora sindaco Rosamaria Rullo era presente anche lo stesso Foti.
La Cassazione scrive che «il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità è autonomo anche rispetto a quello penale, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell'amministratore dell'ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio». Tale misura, come ha già affermato la Suprema Corte, non è in contrasto con la Costituzione «in quanto la temporanea incandidabilità dell'amministratore che ha dato causa allo scioglimento del consiglio dell'ente locale è un rimedio di "extrema ratio" volto a evitare il ricrearsi delle situazioni cui la misura dissolutoria ha inteso ovviare, salvaguardando beni primari della collettività nazionale». Vanno quindi evidenziati collusioni con la criminalità organizzata di tipo mafioso o condizionamenti degli amministratori, che abbiano determinato «una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio». È stato ritenuto insufficiente, ai fini della dichiarazione d'incandidabilità, una «valutazione globale delle vicende dell'amministrazione», richiesta invece per il provvedimento di scioglimento, attesa la natura personale della misura prevista a carico degli amministratori, volta a colpire «esclusivamente coloro che sono responsabili del degrado dell'ente», con necessità quindi «di una maggiore individualizzazione degli elementi di addebito, attraverso un esame specifico della condotta tenuta da ciascun amministratore».
La relazione prefettizia dell’epoca, per come evidenziato anche nel Rapporto del Ministro dell’Interno del 28 giugno 2012, «aveva messo in particolare in rilievo la figura del sindaco, già al vertice dell’amministrazione comunale per due mandati consecutivi, il quale, rivestendo unitamente al vicesindaco e al presidente del consiglio comunale una funzione apicale, di fatto aveva la supervisione ed il controllo dell’intera macchina amministrativa. Si evince, infatti, dagli atti della Relazione ispettiva, in cui si richiamano i rapporti di Polizia e i fascicoli presenti presso l’Arma dei carabinieri, una certa contiguità, oltre che un’abituale frequentazione, tra il sindaco Rullo ed alcuni esponenti delle cosche locali, quali Antonio Pisano, Vittorio Emanuele, Vittorio Decimo Emanuele e Francesco Vallelonga, tutti con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso». Circostanza, questa, che «ne ha condizionato l’agire amministrativo, improntato ad una logica spartitoria e clientelare, tesa a favorire questi soggetti e le cosche a cui sono legati, dai quali risulta essere stata sostenuta anche durante la campagna elettorale».
«Le contestazioni - scrive oggi la Cassazione - possono emergere, oltre che dalla Relazione del Ministero e da quella prefettizia, anche da altri documenti acquisiti al processo. L'elemento soggettivo dell'amministratore consiste, come osservato dal PG, anche solo nel non essere riuscito a contrastare efficacemente le ingerenze e pressioni delle organizzazioni criminali operanti nel territorio, mentre l'elemento oggettivo richiede la verifica di una condotta inefficiente, disattenta ed opaca che si sia riflessa sulla cattiva gestione della cosa pubblica». Ora, la Corte ha proceduto a un'«autonoma disamina delle singole circostanze fattuali», premettendo proprio l'«assenza di ogni automatismo tra scioglimento del singolo consiglio comunale e declaratoria di incandidabilità degli amministratori» e ha rilevato che essa «non doveva accertare se l'ex assessore Foti si fosse reso responsabile di condotte criminose, ma che le condotte denunciate non integrassero neppure concreti, univoci e rilevanti elementi della denunciata permeabilità dell'amministrazione interessata alle influenze mafiose», concludendo nel senso della «rilevanza dei rapporti di frequentazione e parentela con le famiglie Vallelunga, Emanuele e Pisano, legate ad ambienti mafiosi, che avevano condizionato le elezioni e che erano risultate vicine a ditte aggiudicatarie di lavori affidati dal Comune».
Per la Cassazione «la questione, posta come violazione di legge, è infondata, in quanto, come osservato dal PG, in un contesto locale ristretto come quello di un piccolo Comune, può assumere rilievo anche la prova di tali frequentazioni», dato che «in tale contesto ben difficilmente si può ignorare la caratura criminale di taluni interlocutori o conoscenti ed accompagnarsi ad essi implica, spesso, una precisa scelta o comunque l'assenza di una necessaria presa di distanza o, peggio, la volontà del "politico sociale" di ostentare frequentazioni e "coperture" che lo potrebbero forse "rafforzare" agli occhi di certa parte dell'opinione pubblica, sensibile, soggetta o costretta alla "influenza" delle cosche locali». Ciò che è stato, a giudizio della Suprema Corte «correttamente ritenuto rilevante ai fini del decidere è il collegamento, diretto o indiretto, tra il ricorrente ed esponenti di sodalizi criminali di stampo mafioso, radicati nel territorio del Comune di Mongiana, che avevano ottenuto numerosi affidamenti di appalti da parte dell'Ente suddetto, durante il periodo di sua permanenza in carica come consigliere comunale ed assessore».
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