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Rischia il blackout totale il processo “Imponimento”, nato dall’omonima operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e che, nel luglio del 2020, aveva colpito duramente i clan Anello e Fruci.
Durante le fasi iniziali del processo, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme, i difensori degli indagati hanno sollevato l’eccezione di inutilizzabilità del sistema trojan inserito nel server dei cellulari di alcune persone coinvolte nell’inchiesta. Secondo la tesi delle difese, i dati sarebbero stati trasferiti su dei server che, anziché essere gestiti direttamente dall’ufficio di Procura, sarebbero stati concessi in appalto ad una società esterna, già coinvolta nei procedimenti di Perugia e Firenze per il caso Palamara. «La Procura - ha detto l’avvocato Sergio Rotundo - si sarebbe rivolta a questa società per la gestione dei dati mentre nel decreto non sarebbe stato autorizzato l’utilizzo di impianti diversi da quelli in uso alla procura». I legali, dunque, hanno posto la questione sulla garanzia che l’accesso ai server sia regolamentato e riservato a personale autorizzato e certificato.
Ad avvalorare la tesi delle difese ci sarebbe anche una sentenza della Corte di Cassazione in tema di autorizzazione del sistema di captazione informatica e delitti associativi, nella quale si evidenzia che «la nuova disciplina trova applicazione ai procedimenti penali iscritti dal 1° settembre 2020; in virtù del principio tempus regit actum (il tempo regola l’azione), invece, alle intercettazioni per procedimenti iscritti anteriormente a questa data si applicano le regole già in vigore». Nel caso di specie, le intercettazioni con mezzo trojan sono iniziate nel 2015. Di conseguenza, potrebbe configurarsi l’inutilizzabilità della prova. L’ufficio di Procura, rappresentato in aula dal pm Antonio De Bernardo, si è opposto alla richiesta del collegio difensivo riservandosi la replica nella prossima udienza. Il gup Rinaldi si è riservato sulla decisione e ha rinviato tutto al prossimo 25 giugno.
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