Giovedì, 08 Marzo 2018 16:34

“Nemea”, Gratteri: «Quella di Vibo è una tra le province con la più alta densità mafiosa d’Italia»

Scritto da Redazione
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Non ha usato mezzi termini il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Vibo, nel corso della quale sono stati illustrati i dettagli dell’operazione Nemea, che ha portato al fermo di 7 persone, 6 dei quali considerati elementi di spicco della cosca Soriano di Filandari ai quali si è aggiunto anche Emanuele Mancuso, 30enne di Nicotera e figlio del boss di Limbadi Panteleone Mancuso alias “l’Ingegnere”.

Secondo quanto emerso nel corso dell’incontro con i giornalisti, in particolare, a Filandari e Ionadi, a seguito della scarcerazione del settembre scorso del boss Leone Soriano, si sarebbe registrata una nuova ondata di intimidazioni ed atti criminali, caratterizzati da ben 14 episodi intimidatori. Nel mirino della cosca sarebbero finiti in particolar modo imprenditori e commercianti, ma anche l’Arma, tanto che il clan era intento a pianificare un attentato alla caserma dei carabinieri, da porre in essere con l’esplosione di colpi d’arma da fuoco o con il lancio di un ordigno esplosivo.

«Le parti del processo non si toccano: forze dell’ordine, avvocati, magistrati, giornalisti. Ogni qual volta si attaccherà una di queste parti, dietro ci saranno centinaia di carabinieri e magistrati pronti a rispondere», ha ribadito con forza Gratteri che ha inoltre spiegato come vi fosse la necessita di «dare risposte immediate, fare sentire la nostra presenza in una tra le province con la più alta densità mafiosa d’Italia». Al suo fianco, a gestire le indagini, il colonnello Luca Romano, a capo del Reparto Operativo, che ha spiegato come l’azione investigativa sia stata effettuata «senza interruzione» e ben tre sostituti procuratori, coordinati dall’aggiunto Bombardieri secondo cui «l’arroganza criminale del clan aveva raggiunto livelli di pericolosità che non ci facevano stare tranquilli e siamo intervenuti con urgenza».

Il clan Soriano, per dimostrare l’egemonia totale sul territorio, avrebbe voluto realizzare da qui a poco aggressioni anche ai danni delle cosche rivali come l’agguato progettato nei confronti di Giuseppe Accorinti di Zungri. La cosca, già nel 2011, era stata colpita dall’operazione Ragno, ma ciò nonostante nel tempo aveva dimostrato una forte capacità di rigenerazione che gli permetteva di mantenere un pattugliamento quotidiano del territorio. E quando il clan ha capito di essere monitorato da vicino, i vari componenti avrebbero cominciato a cercare nascondigli per sfuggire, invano, alla cattura. Tra i fermati di oggi, come già detto, c’è anche Emanuele Mancuso, figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto l’“Ingegnere”. Secondo gli inquirenti Mancuso avrebbe preso parte attivamente all'attentato ai danni di Antonino Castagna, imprenditore del settore siderurgico. Il clan dei Mancuso inoltre si sarebbe offerto di pagare le spese legali per Giuseppe Soriano, figlio di Roberto Soriano e nipote del boss Leone, vittima di lupara bianca negli anni Novanta. Giuseppe Soriano, tra l’altro, era stato arrestato un mese fa perché trovato in possesso di un ingente quantitativo di stupefacente e di munizioni.

Il ruolo importante delle donne e di diversi giovani sarebbe inoltre avvalorato dal fatto che tra i fermati di questa mattina vi sarebbero anche donne giovani e con posizioni apicali all’interno della cosca, che a parere degli inquirenti avrebbero contribuito a portare avanti le attività del clan, come nel caso del traffico di droga. E proprio al traffico della droga e delle armi puntava il clan per accrescere il proprio potere e saldare nuove alleanze con altri sodalizi criminali.

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