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«La 'ndrangheta vibonese aveva una sorta di "banca d'Italia" che forniva soldi ad una rete di usurai». A dirlo è stato il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, nel corso dell'udienza del processo Rinascita Scott parlando - interrogato dal pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo - di un imprenditore vibonese, Gianfranco Ferrante, conosciuto per essere proprietario del Cin Cin bar di Vibo Valentia, adesso sottoposto ad amministrazione giudiziaria. «Ferrante - ha riferito il collaboratore - era un broker che raccoglieva il denaro dalle cosche vibonesi, compresa la famiglia Mancuso, per distribuirli agli usurai». Tra questi, scrive l’Ansa, Mantella colloca anche il consigliere comunale di Vibo Valentia Antonio Curello, che non è imputato né risulta indagato.
«Il denaro - ha riferito ancora Mantella che ha parlato dei suoi rapporti con Ferrante - quest'ultimo lo ha usato anche per una truffa compiuta insieme a Giovanni Governa», che non è imputato e non risulta indagato, consigliere comunale di Lamezia Terme nel 1991 nell'amministrazione che venne sciolta per infiltrazione mafiosa. «Il ruolo di Ferrante, oltre che di "banca d'Italia" delle cosche - ha detto Mantella - era anche di veicolare messaggi da me, Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e Damiano Vallelunga. Si parlava di estorsioni e di 'ndrangheta. Io certo non esercitavo la professione del prete, io esercitavo una professione militare all'interno della 'ndrangheta. Ferrante si prestava a mettere in atto estorsioni per conto mio e di Pantaleone Mancuso “Scarpuni”».
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