Venerdì, 05 Giugno 2020 11:36

L’influenza dei Mancuso nel centro di Milano: «A corso Buenos Aires comandano loro»

Scritto da Redazione
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Da corso Buenos Aires, a piazza Piola, passando per via Doria e la Stazione Centrale. Alcune delle vie principali del centro di Milano, insomma, tutte in mano al clan Mancuso di Limbadi. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta relativa all’operazione “Isola scaligera”, portata a termine ieri dalla polizia di Stato che, in provincia di Verona, ha tratto in arresto 23 persone, perché ritenute responsabili, a vario titolo, di reati che vanno dall'associazione mafiosa al traffico di sostanze stupefacenti, fino a riciclaggio, estorsione, truffa e corruzione.

Sullo sfondo, secondo quanto riportato dal Corriere della Calabria, una lunga chiacchierata tra Nicola Toffanin, braccio destro di “Totareddu” Giardino, il capo del clan crotonese di stanza a Verona finito nel mirino dell’antimafia veneta, e Francesco Vallone che, secondo i magistrati, sarebbe un «soggetto a completa disposizione del potente clan mafioso dei Mancuso di Limbadi, con il quale vantava anche parentele». Vallone compare nell'indagine "Black Money" della Dda di Catanzaro e «risulta socio in affari di Orazio Spinoso», nipote di ‘Ntoni Mancuso, storico patriarca e boss della cosca. Quando parlano di fatti riconducibili all’organizzazione mafiosa, parlano sempre al plurale: «abbiamo avuto rapporti...»; «abbiamo fatto un business importante»; «proprio nostro, iddu!». E non mancano di fare riferimento anche a personaggi di spicco del clan: «Ma è carcerato zio Luigi adesso?» (Luigi è il capo assoluto del casato mafioso di Limbadi, ndr); «ha tentato di uccidere zi" Romana...»; «ha lui il mandato della famiglia! la dote». «Giù - spiega Vallone - non puoi ragionare con loro così! Perché loro oggi investono 100... domani devono essere i 100 suoi, più i 10 di utile».

Sempre secondo quanto riportato nell’articolo del Corriere della Calabria, a giudizio dei magistrati veneti Vallone dimostra «la sua profonda conoscenza dei fatti» che riguardano il clan Mancuso. Così, quando Toffanin gli chiede «ma a Milano avevate un professore che ha beni intestati vostri?», lui risponde e arricchisce «di particolari la presenza della `ndrangheta di Limbadi nel capoluogo lombardo - ed in particolare nella zona compresa tra corso Buenos Aires, piazza Piola, via Torino, Stazione Centrale - ove il dominus incontrastato veniva individuato nello "zio" Luigi Mancuso, il più giovane della "dinastia degli 11"». A quei tempi Mancuso era irreperibile (sarà arrestato nei pressi di Nicotera il 12 agosto 2017) da due anni. E Vallone mostra di saperlo. Così come sembra di conoscere le circostanze che hanno portato all'arresto a Joppolo, nel Vibonese, di Luni Mancuso, alias “L’Ingegnere”, e dei fatti che riguardano la "faida" tra i piscopisani e i Patania di Stefanaconi, vicini al clan di Limbadi. «A Milano - dice Vallone - qualsiasi cosa tra corso Buenos Aires... Piazza Piola...Via Doria... per arrivare alla stazione centrale... tutto quello che muovi... muove tutto zio Luigi». Da profondo conoscitore delle cose dei Mancuso («sappi che se tu vai a toccare un Mancuso non resti in piedi, tu ne puoi ammazzare quanti ne vuoi ma i Mancuso sono 400»), Vallone teme il pentimento di Andrea Mantella, «il pentito di Vibo numero uno». Fa bene, come dimostrerà due anni e mezzo più tardi l'operazione "Rinascita Scott" della Dda di Catanzaro.

Toffanin fa riferimento anche a un progetto del suo clan sui fondi europei, «evocando la figura» di un faccendiere che non risulta indagato e sarebbe il "loro" uomo di riferimento, inserito in "ambienti" romani». Spiega, inoltre, che grazie ai buoni uffici del faccendiere, «presto avrebbe incontrato anche il braccio destro di Enrico "De Pedis", socio in affari di Massimo Carminati, nonché esponente di spicco della "banda della Magliana", per pianificare nuovi affari illeciti». Gli investigatori, però, intendono fare luce sulle parole di Toffanin, il cui spessore criminale «merita successivi approfondimenti investigativi».

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