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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Un’«articolata attività di indagine», avente ad oggetto l’accertamento di «plurime condotte di detenzione, spaccio, offerta in vendita di stupefacenti realizzate dall’associazione finalizzata al traffico di sostanze illecite promossa, diretta e organizzata dai fratelli Fabiano nell’area del Soveratese». Lo si legge nell’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Procura della Repubblica-Direzione distrettuale antimafia del capoluogo, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, nell’ambito dell’operazione denominata “Anteo”, a carico di 30 persone gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsione, tentata e consumata, anche con l’aggravante mafiosa, ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi anche clandestine e da guerra, detenzione di materiali esplodenti e furto.
«Particolarmente rilevanti» sono risultate anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, «direttamente coinvolto in numerose e significative vicende che hanno riguardato l’attività illecita dei fratelli Fabiano». Mancuso, inoltre, risulta gravato da contestazioni per narcotraffico, furti, danneggiamenti ed estorsioni, aggravati dal metodo mafioso e armi, nell’ambito dell’inchiesta Nemea, per i quali nel luglio 2019 è stata emessa sentenza di condanna, in sede di giudizio abbreviato, dal gup del Tribunale di Catanzaro.
Dalle indagini è emerso che il gruppo illecito, guidato dai fratelli Damiano e Giuseppe Fabiano, avrebbe gestito «apprezzabili quantitativi di stupefacenti, provenienti da contesti delinquenziali di elevato spessore ‘ndranghetistico». Dato questo che, secondo quanto si legge nell’ordinanza, «ha trovato una plausibile e condivisibile interpretazione nell’approfondita analisi di contesto sulle origini del fenomeno associativo, che si connota di un forte legame familistico con un altro fenomeno di criminalità organizzata, di risalente e riconosciuta importanza, caratterizzato da importanti ramificazioni anche nel Nord Italia». Si tratta della cosca Procopio-Mongiardo di San Sostene. «Ciò - riporta ancora l’ordinanza - in quanto Antonella Procopio, moglie di Giuseppe Fabiano, è figlia di Giuseppe Procopio, gravato da plurimi precedenti penali, cugino di Gerardo Procopio, al vertice dell’omonima famiglia criminale».
Per quanto riguarda la figura di Emanuele Mancuso - che risulta indagato per reati in materia di armi, nonché per estorsione perpetrata nei confronti di Damiano Fabiano e degli appartenenti all’organizzazione, anche se non è stato raggiunto da misura cautelare – lo stesso avrebbe «intrattenuto qualificati rapporti relazionali con i promotori ed i partecipanti all’associazione finalizzata al traffico di droga, con lo scopo di rifornire il sodalizio di sostanze provenienti da soggetti appartenenti al circuito di narcotraffico a cui era organico». I rapporti, però, non si sarebbero limitati alla sola compravendita di sostanze stupefacenti, «ma – è scritto nell’ordinanza - hanno riguardato altresì il complementare traffico di armi ed esplosivi (anche da guerra)».
Il collaboratore di giustizia colloca l’origine del rapporto con i fratelli Fabiano nel settembre 2017, quando Damiano e Giuseppe, a lui introdotti da Daniele Cortese (anch’egli convolto nell’operazione, ndr), «si erano presentati con del denaro per acquistare alcuni quantitativi di cocaina. Il collaboratore - si legge nell’ordinanza – ha riferito dell’esistenza di un rapporto, legato al narcotraffico, con i fratelli Fabiano, precisando che, al momento del primo incontro, Cortese già vantasse un significativo credito (dell’entità di almeno 1200 euro) derivante da precedenti cessioni di sostanza stupefacente, nonché di avere compreso dell’esistenza di precedenti rapporti di fornitura, da parte di Cortese, che potevano giustificare le rivendicazioni del suo socio». Secondo quanto dichiarato da Mancuso, «i Fabiano risultavano già inseriti nelle dinamiche di traffico di stupefacenti e di altre attività criminali ancor prima dei miei rapporti per come riferito, iniziati per il tramite di Daniele Cortese. Ritengo che Daniele Cortese abbia ceduto stupefacente ai Fabiano prima dell’inizio dei rapporti con me. Lo deduco dal fatto che li ho visti presentarsi con Cortese la prima volta al Bingo già con i soldi in mano per acquistare lo stupefacente».
Per come spiegato dal collaboratore, Cortese avrebbe «rivestito il ruolo di intermediario, cui spettava una percentuale per l’attività prestata, motivo per il quale il prezzo da lui praticato per le cessioni era particolarmente elevato». Mancuso ha aggiunto che, progressivamente, era stato estromesso dagli accordi, «risultando il pagamento dell’ulteriore percentuale per l’intermediazione eccessivamente oneroso per i Fabiano».
Nell’ordinanza, però, si fa riferimento anche ad altri «canali di approvvigionamento», a cui «hanno fatto ricorso i Fabiano», considerato che, occasionalmente, «si sono rivolti a Fortunato Demasi (di Simbario, finito agli arresti domiciliari) e Vito Chiefari (figlio di Antonio Chiefari, entrambi appartenenti all’omonima famiglia che, insieme a quella degli Iozzo, costituisce una realtà acclarata da più vicende processuali), operativi tra la provincia di Vibo Valentia e quella di Catanzaro; a Giuseppe Corapi, attivo nel circuito del narcotraffico a San Sostene, nonché a Raffaele Andreacchio, attivo nel medesimo settore nel territorio di Guardavalle».
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