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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Il suo non è un nome qualunque all’interno del panorama criminale vibonese. Nonostante la giovane età, infatti, il neo collaboratore di giustizia Walter Loielo - figura di primissimo piano dell’omonimo clan protagonista della guerra di ‘ndrangheta contro i rivali degli Emanuele che ha causato decine di morti nei territori a cavallo tra Soriano Calabro, Sorianello e Gerocarne - ne ha di cose da raccontare al procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. Il giovane pentito, scrive l’edizione odierna de “Il Quotidiano del Sud”, potrebbe riferire in ordine a una lunga lista di delitti, verosimilmente anche quello che costò la vita a Filippo Ceravolo, il ragazzo di Soriano ucciso per errore in un agguato avvenuto il 25 ottobre 2012 lungo la strada che porta a Pizzoni. Quella sera Filippo pagò a caro prezzo la scelta di chiedere un passaggio alla persona sbagliata: il principale obiettivo dei killer, infatti, non era lui ma Domenico Tassone, ritenuto continuo al gruppo rivale degli Emanuele.
La Direzione distrettuale antimafia, nei giorni scorsi, ha annunciato il deposito di un primo verbale per il terribile episodio dell’autobomba che uccise, a Limbadi, Matteo Vinci. Gerocarne e Limbadi, due centri morfologicamente distanti tra loro, ma alla fine non poi così tanto, visto che, si legge ancora su “Il Quotidiano del Sud”, i collegamenti ci sono, eccome, come dimostra l'inchiesta "Demetra 2" che vede indagati due soggetti di Soriano, Antonio Criniti, 30 anni, e Filippo De Marco, 41 anni, che lo stesso Walter Loielo avrebbe affermato di conoscere almeno di vista. Una bomba ordinata, secondo l’indagine "Demetra 1", dalla famiglia Mancuso-Di Grillo-Barbara. Famiglia, soprattutto la prima, con la quale i Loielo sono alleati e a dirlo non sono solo le inchieste di questi ultimi anni, ma anche i racconti dei pentiti che avrebbero visto il gruppo che fa capo a Bruno Emanuele, intenzionati a riprendersi tutto il territorio togliendo di mezzo non solo i giovani figli e nipoti di Giuseppe e Vincenzo Loielo - trucidati nel 2002, dal commando con a capo proprio il boss delle Preserre - ma anche gli alleati, nella persona di Pantaleone Mancuso, alias "Scarpuni". Walter Loielo, però, potrebbe anche fornire ulteriori indicazioni sui responsabili del tentato omicidio del padre Antonino e dei suoi familiari a ottobre 2015 nonché del suo e dei suoi cugini agli inizi del novembre successivo.
Una lista lunghissima, dunque, riportata nell’ordinanza cautelare a carico di Antonio Campisi (anch'egli assetato di sangue verso Luni Mancuso, in quanto gli addossava l'uccisione del padre Domenico) e Salvatore Muzzupappa, per armi.
A partire dal 2009, il tentato omicidio di Salvatore Inzillo del 23 novembre di quell'anno (in cui erano indagati Angelo e Giovanni Nesci, Biagio Dominelli, Nicola Rimedio e Massimo Nesci); l'agguato fallito del 16 novembre 2011 di Giovanni Alessandro Nesci - contiguo ai Loielo - che, mentre si trovava nella sua auto, fu investito da una serie di colpi di arma da fuoco lungo la strada che da Gerocarne porta verso la frazione Ariola-Ciano; il tentato omicidio di Giovanni Emmanuele, vicino alla famiglia Emanuele, dell'1 aprile 2012 a Sorianello con modalità identiche a quelle precedenti. Sull’episodio aveva fatto rivelazioni nel processo che vedeva accusati i fratelli Valerio e Rinaldo Loielo per la detenzione di armi rinvenute poco dopo l 'agguato del 5 novembre 2015, l 'ex killer dei piscopisani e collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, legato da rapporti di parentela con Franco Idà, a sua volta cognato di Bruno Emanuele. In aula aveva ha riferito di aver conosciuto non solo Bruno, ma anche il fratello Gaetano Emanuele e Giovanni Emmanuele che farebbe parte dello stesso sodalizio e che, in passato, scampò ad un agguato. E proprio su questo episodio, Moscato - scrive “Il Quotidiano del Sud” - aveva affermato di aver appreso che dietro ciò ci fosse «Rinaldo Loielo, che conoscevo di nome e sapevo avere un comparaggio con Pantaleone Mancuso alias "Scarpuni" che noi, nel 2011, dopo l'omicidio di Fortunato Patania, volevamo uccidere e tagliare la testa. Una decisione, quella, che fu presa da Piscopisani. Negli ambienti criminali si diceva che l'autore del tentato omicidio di Emmanuele era stato Rinaldo Loielo» e, al riguardo, il pentito ha riferito in aula un aneddoto: «Arrivato nella sezione comune del carcere di Siano, un giorno Ninuccio Idà mi chiese chi fosse stato il responsabile dell'agguato, noi gli passammo una busta con un’arancia e un pizzino nel quale si faceva il nome di Rinaldo. Lui, però, non fu molto sorpreso dalla circostanza. Tra l'altro, sempre da ambienti criminali avevo sentito, alla presenza di Rosario Battaglia, Antonio Pardea e altri, che la madre di Rinaldo era andata da Bruno Emanuele dopo l'uccisione del marito (Giuseppe, trucidato insieme al fratello Vincenzo il 22 aprile 2002 ad Acquaro, ndr) dicendogli che i suoi figli non sarebbero cresciuti con la vendetta in corpo e, quindi, di non toccarli. Lui (Emanuele, ndr) aveva però risposto di non aver avuto nulla a che fare con il delitto». Ma che le giovani leve dei Loielo fossero finite nel mirino (com'è poi avvenuto negli anni successivi al 2014) non lo dicono solo gli agguati, tutti falliti del resto, ma anche lo stesso collaboratore di giustizia: «Noi piscopisani - ha riferito ancora il teste in aula davanti al Tribunale collegiale - dovevamo intervenire per far evadere Bruno Emanuele dal carcere in quanto c'era in animo la volontà di uccidere Rinaldo e ci si era attivati a tal scopo. Al riguardo, Rosario Battaglia mi disse: "Vai tu ad ammazzarlo”, ma risposi che prima avremmo dovuto risolvere le cose nostre (la faida con la famiglia Patania, ndr) e poi avremmo agito contro Loielo che, comunque, veniva costantemente seguito nei suoi spostamenti dal gruppo degli Emanuele».
La scia di sangue proseguì nel giugno 2012, con l’uccisione di Nicola Rimedio, ritenuto legato anche da vincoli parentali al clan Loielo; quella di Antonino Zupo, componente del clan Emanuele, ucciso nel settembre dello stesso anno; quella di Domenico Ciconte, considerato vicino al clan Loielo e quella dell’incolpevole Filippo Ceravolo. Nel 2013, però, gli agguati non si arrestano, anzi: ad aprile 2013 ci fu l’assassinio di Salvatore Lazzaro; nel luglio 2014 il tentato omicidio di Valerio Loielo; nell’ottobre 2015 il tentato omicidio nei confronti di Antonino Loielo, Alessandra Sofia e Alex Loielo - figlio di Antonino nonché delle due sorelle di quest'ultimo - e quello, appena pochi giorni dopo nei confronti proprio di Walter, Rinaldo e Valerio Loielo sempre nel medesimo territorio. Infine, il tentato omicidio ancora una volta contro Giovanni Alessandro Nesci dell'1 aprile 2017; l'uccisione di Salvatore Inzillo del 21 giugno successivo a Sorianello, un secondo agguato fallito sempre ai danni di Nesci del 28 luglio, in cui rimase ferito il fratello affetto da sindrome di down, e infine il tentato omicidio ai danni di Nicola Ciconte, del 25 settembre 2017, mediante la deflagrazione di un ordigno esplosivo apposto sull'autovettura Opel Astra a lui in uso e il terzo tentativo omicidiario nei confronti di Nesci e del padre, commesso il 2 gennaio del 2018.
Dunque, una lunga lista di omicidi e tentati omicidi rimasti fino a ora impuniti, sui quali stanno cercando di fare luce i magistrati della Dda di Catanzaro che, d’ora in avanti, potranno contare sulle dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Walter Loielo.
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