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La morte di Nicola Colloca, infermiere vibonese trovato carbonizzato nella sua auto in una pineta tra Maierato e Pizzo il 26 settembre del 2010, sembra destinata a rimanere un mistero. Dopo che una perizia ha infatti nuovamente inquadrato l'ipotesi iniziale del suicidio come quella più probabile, il pm ha chiesto l'assoluzione degli imputati che avevano optato per il rito abbreviato (per sei di loro condizionato alla perizia) e che erano accusati a vario titolo di concorso in omicidio, distruzione di cadavere e favoreggiamento.
Tra questi ci sono anche la moglie di Colloca, Caterina Gentile, e il figlio Luciano. Per loro e per Michele Rumbolà, Caterina Magro, Nicola e Domenico Gentile (cognati dei Colloca), come per Domenico Lentini e Romanina D'Aguì che erano accusati di favoreggiamento e hanno optato per l'abbreviato secco, l'accusa rappresentata dal pm Ciro Lotoro ha chiesto l'assoluzione «per non aver commesso il fatto» davanti al gup Marina Russo. Decisivo, evidentemente, si è rivelato l'esito della nuova consulenza affidata al prof. Pietro Tarsitano che ha riportato all'ipotesi iniziale secondo cui il suicidio sarebbe «più compatibile rispetto alle ipotesi omicidiarie».
Nel corso degli anni le perizie affidate di volta in volta ai consulenti di medicina legale hanno avuto esiti differenti: secondo alcuni periti, dopo aver inalato cloroformio, lo stesso Colloca avrebbe appiccato l'incendio dentro la sua auto; secondo altri invece sarebbe stato tramortito da qualcuno con un corpo contundente e poi bruciato nella vettura. L'unico elemento concordante tra i vari pareri è che l'infermiere fosse ancora vivo mentre l'incendio divampava.
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