Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
C’è un ritardo atavico fra la nostra e le altre Regioni. Un ritardo che non ce la sentiamo proprio di colmare. Sarà di un ventennio, un mezzo secolo, forse più, ma quel che è certo è che ce la stiamo mettendo davvero tutta per allargarlo ancora, per renderlo definitivamente irreversibile. È una coincidenza più che una concomitanza il fatto che sia sui calendari della Calabria che in quelli dell’Emilia Romagna vi siano le stesse identiche date cerchiate in rosso: per il rinnovo dei componenti del Consiglio regionale in entrambi i casi si tornerà alle urne domenica 26 gennaio 2020. Stop, la storiella dei sincronismi finisce qui, e non solo perché il modello di crescita delle due Regioni ha tracciato nei decenni parabole completamente opposte, non solo perché l’andamento demografico vira in sensi nettamente diversi, non solo perché le strategie per lo sviluppo ed il lavoro sembrano pensate su galassie distanti anni luce l’una dall’altra, non solo perché i divari nei redditi e nei consumi sono incolmabili. Ma anche perché è diversa, molto diversa, la “pasta” con cui sembrano fatti gli uomini e le donne che aspirano alle redini dei governi regionali.
In Emilia Romagna, il presidente uscente Stefano Bonaccini (Pd) e la “sfidante” Lucia Borgonzoni (Lega) se le sono già “date di santa ragione” (in realtà in maniera molto pacata) a “Carta Bianca” in prima serata su Rai3. E al di là di chi abbia torto o ragione, questo significa che già abbondantemente prima della chiamata dei cittadini alle urne i profili dei competitor sono ben delineati. Da settimane, forse mesi, chi abita in Emilia si è potuto concentrare su due identikit definiti, su quello che vorrebbe fare un candidato piuttosto che l’altro. In Calabria invece no. Gli “squali” sono ancora in alto mare e continuano a tessere le tele partitiche di una politica che per dinamica somiglia più alle faide di ‘ndrangheta che alla leva per lo sviluppo e la speranza di una terra che, non a caso, è ultima tra gli ultimi.
Tradimenti, ultimatum, imboscate, passi avanti che si rivelano presto passi indietro, bugie e trabocchetti. La Calabria resta impigliata in se stessa, tanto che a sessanta giorni dal voto non sappiamo per chi e perché potremmo votare. Il centrodestra aveva un candidato, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, ma l’ha buttato via perché all’interno della coalizione c’è chi solleva grossi dubbi rispetto alla sua “verginità” e al fatto che la fedina penale possa restargli pulita: «È indagato». Così lo ha liquidato Salvini qualche settimana fa senza tanti giri di parole. Il Movimento Cinque Stelle calabrese, invece, si è accorto di avere dei confini sempre più sfumati, anche se a levare i dubbi sulla scesa in campo è stata la piattaforma Rousseau con gli iscritti che hanno bocciato la “pausa elettorale” con una percentuale del 70% (sono stati 27mila i votanti sui 125mila aventi diritto). Ma la decisione di demandare tutto alla consultazione online (in tal caso punti interrogativi aperti anche per i grillini dell’Emilia Romagna) ha destato non pochi mal di pancia. Il più forte sembra quello del parlamentare catanzarese Paolo Parentela, che in totale disaccordo con la decisione di ricorrere al web e di non mettere i territori al centro delle scelte, ha deciso di dimettersi (dimissioni poi rientrate) dal ruolo di coordinatore della campagna elettorale. Per la figura di governatore i grillini hanno aperto al docente dell’Unical Francesco Aiello.
Peggio di peggio il Pd, alla guida di una Regione che annaspa tra scandali Aterp, crisi Sanità e buchi di bilancio troppo profondi da sanare. Da quelle parti i nomi dei candidati si sprecano. In ordine cronologico ci hanno già “rimesso le penne”: il re del tonno Pippo Callipo (ritirato); il re dell’editoria Florindo Rubbettino (ritirato); il re delle cravatte Maurizio Talarico (si sta per ritirare). Nomi più o meno interessanti, che pagano però l’unica colpa di essersi trovati in mezzo ad un gioco al massacro senza esclusione di colpi. Colpi bassi. Uno di quei giochi che il Partito democratico calabrese ha sempre dimostrato di saper giocare bene. Insomma, in Calabria è già tardi. Le trame nell’ombra di Oliverio, dei Gentile e degli altri soliti noti ancora una volta hanno colpito nel segno. E il peggio è che all’orizzonte, al di là del buio, non si scorge che altro buio.
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