Venerdì, 15 Gennaio 2021 11:04

Bancarotta fraudolenta, 10 indagati per il fallimento dell'hotel 501

Scritto da Redazione
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La Guardia di Finanza di Vibo Valentia ha notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla locale Procura della Repubblica nei confronti di 10 soggetti indagati, a vario titolo, per reati di bancarotta fraudolenta, in relazione al fallimento delle società “501 Hotel S.p.A”, “501 Hotel Gestione S.r.l.”, “Phoenices General Trade S.r.l.”, “Onda Verde Mare S.r.l.”, tutte facenti capo alla nota famiglia di imprenditori vibonesi dei Mancini.

Le indagini, dirette dal procuratore Camillo Falvo e dal sostituto Concettina Iannazzo ed eseguite dalla Sezione di polizia giudiziaria-aliquota Gdf e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Vibo, hanno preso in esame le procedure concorsuali che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese (Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone).

«Gli approfondimenti informativi ed investigativi - scrive la Guardia di finanza - hanno permesso di ricostruire una serie di operazioni societarie e finanziarie che hanno cagionato il dissesto delle società, mediante il drenaggio e la distrazione di ingenti risorse per un ammontare di € 14.903.050 e la conseguente creazione di una massa fallimentare per un importo di € 55.759.730. All’esito delle attività di indagine è stato accertato che le condotte illecite commesse avevano avuto un unico filo conduttore individuabile nella gestione finalizzata al depauperamento delle risorse economiche, da parte dei deceduti cugini Giovanni Giuseppe Mancini (cl. ‘34) e Saverio Mancini (cl. 33), che possono essere considerati gli imprenditori di “prima generazione” del gruppo societario e successivamente dai rispettivi figli, i quali, unitamente agli altri amministratori, approfittando dell’omesso controllo da parte degli organi sociali preposti, hanno condotto al fallimento delle società».

Secondo la Procura di Vibo i noti imprenditori, che avrebbero spesso ricoperto ruoli all’interno delle società «in situazioni di conflitto di interessi» avrebbero sottratto e drenato ingenti disponibilità finanziarie dalle società, in seguito fallite, cagionandone il dissesto, mediante una serie di presunte «operazioni dolose quali, ad esempio: la mancata registrazione di corrispettivi relativi ad eventi e ricevimenti, che venivano pagati in nero, che non confluivano nelle casse sociali; ricorrenti prelevamenti in contanti dai conti correnti delle società privi di giustificazione; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari».

Dalle indagini sarebbe inoltre emerso «un costante prosciugamento delle risorse societarie mediante contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente al fine di documentare “cartolarmente” l’effettuazione di servizi che in realtà non venivano prestati». Parallelamente a tali operazioni, le scritture contabili delle società sarebbero state tenute con modalità tali da «non rendere possibile o comunque ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari».

Secondo l'accusa ci sarebbe anche la responsabilità dei componenti del collegio sindacale che «avevano l’obbligo, di fatto disatteso, di vigilare affinché non si verificasse la mala gestio e la distrazione di risorse economiche da parte degli amministratori».

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