Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
I Carabinieri del Reparto Operativo del Comando provinciale di Vibo Valentia hanno eseguito nella notte sei provvedimenti di fermo, emessi dalla DDA di Catanzaro, nei confronti di altrettante persone ritenute contigue alle cosche Bellocco di Rosarno e a quelle dei Lo Bianco e Fiarè, operanti invece nel territorio di Vibo Valentia. L'operazione, denominata “Insomnia”, ha fatto luce su un giro di estorsioni ed usura, reati tra l'altro aggravati dalle modalità mafiose.
La vittima, un commerciante di abbigliamento e oggetti preziosi, dopo aver subito una rapina per quasi mezzo milione di euro, aveva necessità di denaro per poter riavviare l'attività, ricevendo così una serie di prestiti. Gli usurai, però, a garanzia delle somme prestate, si erano fatti consegnare dal commerciante due orologi preziosi, assegni, una partita di gioielli ed anche una scrittura privata che li ponesse al riparo da possibili denunce.
Per ottenere le somme dovute, inoltre, gli usurai avevano anche più volte minacciato ritorsioni nei confronti del commerciante e dei suoi familiari fino a quando, però, la vittima non ha deciso di denunciare tutto ai militari.
Questi i nomi delle persone fermate: Salvatore Furlano, 46 anni, di Vibo Valentia, finito già in manette in passato per usura ed estorsione; Damiano Pardea, 29 anni, di Vibo Valentia; Gaetano Cannatà, 40 anni, di Vibo Valentia; Francesco Cannatà, 38 anni, di Vibo; Giovanni Franzè, 52 anni, di Stefanaconi e Alessandro Marando, 38 anni, di Rosarno.
Riceviamo e pubblichiamo
Sei, sei sei: 6, il mese, giugno; 6, le riprese del match per il quale si stava preparando prima di essere chiamato per l’europeo; 6, il round al quale ha mollato definitivamente in una sfida che, già agli esordi, si preannunziava impari per via di un gap di preparazione. Volendo fantasticare si potrebbe prospettare lo zampino di Belzebù. Ma, restando coi piedi per terra era così, forse, che il destino aveva già scritto se stesso. A nulla, infatti, sabato scorso a Tolfa, sulle colline romane, è valso il coraggio da leoni di Benoit Manno, il calabrese (di Acquaro, VV), due volte campione italiano dei superpiuma, la cui forza d’animo e intrepidità non sono riusciti a prevalere sulla più accurata preparazione atletica di Emiliano Marsili, il detentore della cintura europea che, meritatamente, ha difeso e riportato in bacheca per la seconda volta. Manno, che ha avuto troppo poco tempo per prepararsi (gli è stato proposta l’opportunità appena 10 giorni prima del match, dopo la rinunzia del francese Anthony Mezaache, mentre il campione si stava preparando da due mesi) ha, inoltre, dovuto affrontare una ulteriore difficoltà, essendo salito sul ring col setto nasale fratturato da un pugno ricevuto nel corso di un allenamento di sparring del martedì precedente. Con la consapevolezza di colui che, qualunque fosse stato l’esito, avrebbe avuto tutto da guadagnare e niente da perdere, la strategia elaborata insieme al maestro Vottero è stata quella di un match di contenimento, per cui Manno ha avuto un approccio cauto sin dal primo round, consentendo, però, al campione in carica di dominare la scena. Così come ad avvio della seconda ripresa, nella quale Marsili, mancino come lo sfidante, ha sfruttato le sue qualità, mettendo in difficoltà Benoit il quale, però, a fine round è riuscito orgogliosamente a reagire sferrando un gancio in pieno viso al campione in carica che, tuttavia, lo ha accusato relativamente. Le successive riprese sono state quasi un deja vu, con un Marsili incalzante ed un Manno che, sebbene costantemente in difesa e ad ogni colpo al volto avvertisse dolori atroci per via del già detto setto fratturato, è comunque riuscito a portare a segno alcuni affondi mancini. Troppo poco per il pugile di Civitavecchia che, intenzionato a riportare a casa la cintura e ad aspirare, nel futuro prossimo, al titolo mondiale, al quinto round manda per ben due volte al tappeto il calabro piemontese il quale, in entrambi i casi, riesce a recuperare, rialzandosi e dimostrando un’audacia ed una caparbietà non convenzionali, come, tra l’altro, suggerisce il suo nomignolo, “The unconventional”. Ma non serve a tanto, poiché, subito dopo l’avvio della successiva ripresa, vittima di un micidiale destro, Manno è nuovamente al tappeto. Trovando quella forza che si riesce a reperire solo nei momenti di estrema criticità, lo stesso si rialza nuovamente ma l’arbitro, intuendo che le energie del valoroso sfidante avevano superato il limite di prolungamento, decreta la fine del match per ko tecnico, re incoronando Emiliano Marsili campione europeo dei pesi leggeri e proiettandolo, a detta degli osservatori esperti, verso un titolo superiore che per il trentottenne laziale rappresenterebbe il naturale prosieguo di una carriera agonistica sin qui impeccabile. Onore al vincitore e, in ogni caso, bravo a Benoit che, come dimostrano i tanti attestati di stima lasciati sulla sua pagina Facebook, rimane l’idolo dei suoi tanti fan e, forte di questo test che, quantunque lo abbia visto soccombente, gli ha dato tanto in termini di esperienza e crescita agonistica, è pronto a risalire in sella e cavalcare nuovamente l’onda dei successi. Con il sogno europeo che, per il momento, rimane nel cassetto, in prospettiva vi è la riconquista, ad ottobre, del titolo italiano contro il vincitore tra Angelo Ardito, attuale detentore, e Nicola Cipolletta (in programma l’11 luglio). Vi era, poi, l’intenzione di combattere, finalmente, un match giù in Calabria, ad agosto, ma l’europeo ha sparigliato tutto, in quanto la federazione gli impone un periodo obbligato di stop. Ad Agosto, ad ogni modo, in Calabria ci verrà comunque, per godersi le meritate ferie nell’azzurro mare della Costa degli Dei. Per i guantoni c’è tempo: ci si rivede ad ottobre.
Valerio Colaci
SERRA SAN BRUNO - Il sistema Tacfit, sviluppato da Scott Sonnon, si sta diffondendo in Italia solo da pochi anni, ma la sua indiscutibile validità lo ha già reso un punto di riferimento imprescindibile per molti soggetti operanti nel settore, tanto da renderlo il principale metodo d'allenamento adottato. Tra questi c’è Giovanni Bonazza, dottore in Scienze Motorie, giovane trainer serrese che, proprio in questi giorni, in seguito ad un semirio tenuto dalla Tacfit Field Instructor School presso il B-functional di Firenze si è guadagnato la prestigiosa International Certification - Level One.
L’attestato, frutto di una due giorni tenuta direttamente dal top trainer Alberto Gallazzi, permetterà quindi a Bonazza di poter svolgere la funzione di istruttore della sempre più famosa disciplina del Tacfit (Tactical Fitness) ai suoi numerosi assistiti.
Questa specialità si sta lentamente guadagnando un ruolo peculiare nell’ambito atletico, proprio per i notevoli miglioramenti raggiunti dai praticanti sia in relazione all’incremento della forza fisica, che per la coordinazione aerobica e la resistenza. Quello del Tactif rappresenta inoltre un programma mai monotono, che gli addetti ai lavori definiscono “vario”, ossia costituito da una serie innumerevole di micro cicli - oltre 108 da 4 giorni per un totale di 432 giorni - il che sta a significare che ci si può allenare anche per 36 mesi consecutivi senza mai ripetere lo stesso micro ciclo per 2 volte. Se a questo si aggiungono i circuiti Cst con i clubbells e i programmi speciali, la varietà diviene illimitata. Il tutto, inoltre, spendendo poco tempo della propria quotidianità: un allenamento Tacfit - tra mobilità, programma e compensazione finale - impegna da un minimo di 45 ad un massimo di 60 minuti. Ciò non può che agevolare, soprattutto, quelle persone che non hanno molte ore a disposizione da dedicare all'allenamento, ma che allo stesso tempo non vogliono rinunciare a conseguire buoni risultati.
Il sistema, in continua evoluzione, viene arricchito costantemente, ecco perché l’importante certificazione che si è meritata di recente Giovanni Bonazza ha una durata di soli due anni. Proprio l’esigenza di migliorarsi ininterrottamente e di raggiungere traguardi sempre più ambiziosi, rendono dunque il giovane trainer serrese uno dei migliori istruttori presenti nel territorio nel settore dell’allenamento fisico.
(Articolo pubblicato su Il Cirotano.it)
SERRA SAN BRUNO – Fanno scorribande notturne, in pieno giorno e non sono ladri d’appartamento. Potrebbe essere l’inizio di un indovinello se non fosse che la risposa è fin troppo facile e conosciuta dagli abitanti del centro storico del popoloso centro montano: sono i topi! Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere pare che ieri sono passati addirittura sulle scarpe di alcuni lavoratori. «Situazione intollerabile» fanno sapere alcuni abitanti di via Silvio Pellico dove proprio ieri un grosso ratto è stato fatto fuori dalla rabbia di qualche proprietario di case. «Abbiamo più volte denunciato la questione in periodi estivi ed ora anche d’inverno, ma non è stata mai risolta». Ora però il vaso è colmo e i cittadini serresi promettono battaglia. Diverse famiglie del centro storico sia di Terravecchia che di Spinetto lamentano l’inattività dell’amministrazione comunale che dovrebbe interessarsi del problema chiedendo l’intervento dell’Asp per la derattizzazione. Tanti i residenti del paese che rischiano di trovarsi con i ratti in casa o in negozio. La storia dei topi, delle fogne e della convivenza con i serresi è una questione annosa. Impossibile eliminare il problema senza un intervento radicale sulla fognatura e su alcuni fossi, da dove probabilmente, i grossi roditori escono in quanto trovano un terreno fertile per la loro proliferazione. Bene. Immaginate un gruppo di turisti che passeggia e incappa in un topo morto, con l’altissimo rischio di schiacciarlo. Non è un bello spettacolo, vero? Ecco, a Serra San Bruno non serve l’immaginazione, perché questo ‘’spettacolo’’, ultimamente, è andato in scena più volte. Insomma, i cittadini lamentano che in pieno centro - ormai da tempo - è possibile vedere ratti in circolazione, oltretutto a pochi metri da tanti esercizi commerciali molto frequentati. Chissà che come la fiaba dei fratelli Grimm, a soccorrere la popolazione non giunga da qualche paese sconosciuto un uomo che, al posto di trappole e disinfestatori, non porti con se un semplice piffero, con buona pace del borgomastro.
(articolo pubblicato su "Il Quotidiano della Calabria")
C’è voluto l’intervento di alcuni residenti della zona, nel quartiere ‘Spinetto’ a Serra San Bruno, per evitare il peggio. Nella mattinata di ieri, una donna è stata sorpresa da un branco di cinque cani randagi – tutti tra l’altro di grossa taglia – che l’hanno assalita facendola stramazzare al suolo. La passante, una volta aggredita dai cani, ha iniziato ad urlare terrorizzata, destando quindi l’attenzione di molti residenti del luogo che si sono subito precipitati in strada costringendo i cinque animali alla fuga e salvando quindi la donna dall’aggressione. La stessa è stata poi accompagnata nel locale presidio ospedaliero, dove gli sono state diagnosticate ferite lievi.
Un rapporto decisamente complicato quello tra gli abitanti della cittadina della Certosa ed i randagi. Una problematica dalla doppia faccia, dove a volte ad avere la peggio è l’uomo ed altrettante volte sono invece gli animali a subire soprusi e violenze. Come nel caso del cucciolo trovato – poco meno di un mese fa – letteralmente impiccato in piazza Mercato, poi fortunatamente salvato in extremis da un passante. Altro caso di maltrattamento, quello di quest’estate in piazza Guido – che destò anche le ire dell’ENPA provinciale, quando alcuni bambini furono sorpresi a giocare utilizzando un piccolo cucciolo di meticcio come pallone.
Caso a parte resta quello del locale cimitero, divenuto oggi domicilio fisso per molti randagi, liberati in branco – si sospetta – da qualche azienda, poco ‘diligente’, operante nel settore ‘accalappiacani’. Operazione agevolata dal fatto che il parcheggio afferente allo stesso camposanto è un luogo del tutto fuori mano e chiaramente poco frequentato nelle ore notturne. I cani, circa una ventina, hanno così finito per stanziarsi definitivamente tra le mura del cimitero, incutendo panico fra i visitatori che, sempre più spesso, con i fiori in mano – decisi a far visita ai propri cari defunti – sono costretti a fare dietrofront, intimoriti dalla presenza, appunto, di numerosi randagi, alcuni ancora cuccioli, altri dall’aria non proprio benevole.
Una signora che doveva farsi eseguire una scintigrafia ossea, effettuò la prenotazione presso il civico Ospedale Pugliese di Catanzaro. Poiché il primo turno utile di prenotazione appoggiava su una data distante tre mesi, dopo qualche tempo insistette nel chiedere se per caso si sia resa libera altra data più vicina. La risposta fu negativa, ma venne accompagnata dall’indicazione che l’esame poteva essere erogato a pagamento , ma a dire il vero, si aggiunse l’indicazione che anche altre strutture catanzaresi erano in grado di effettuarlo. La signora si informò della spesa da sostenere per effettuarlo a pagamento e la risposta fu che costava 150 euro. Ritenendo il costo troppo elevato, decise di telefonare al Sant’Anna Hospital, sempre a Catanzaro. Lì la risposta fu che le prenotazioni a convenzione pubblica per il breve periodo (mese successivo) erano esaurite e che per il più lungo termine ancora non si prenotava. Anche qui c’era però la possibilità di prenotazione a più breve distanza per la fascia a pagamento. La signora si informò del costo e seppe che costava 70 euro. Al che non ci pensò due volte a servirsi di quest’ultima alternativa, essendo a conoscenza che il ticket all’ospedale pubblico sarebbe costato forse anche di più.
Qualcuno del profondo nord, corrotto al pari di tutta la nostra bella terra italica, si permette ancora il lusso di affermare che in Calabria non paghiamo le tasse. A costoro va detto che oltre alle tasse paghiamo anche le gabelle, intese come dazi per poter vivere nel suolo in cui siamo nati. In effetti, tra le altre nauseanti esperienze di malfunzionamento di servizi, il più delle volte vitali, se sfortunatamente una persona si ammala ed abbisogna di un accertamento diagnostico, deve corrispondere una quota che però, sovente, non è per nulla una minor parte; spesso, infatti, la quota-parte ammonta a più dell’intero del costo della prestazione. Si deve precisare che per il solo uso della famosa ricetta rossa, si devono sborsare dieci euro, che si aggiungono allo storico ticket. Di conseguenza si può verificare che in taluni casi, tra costo ricetta e quota partecipativa, l’analisi venga a costare al malato più di quanto non costi in totale al servizio sanitario pubblico. Pertanto è urgente affermare che si rende necessario fare in molti campi una valutazione un po’ più retta, iniziando dal considerare i cittadini come persone con i loro bisogni da amministrare onestamente e non come strumento per l’ascesa al potere. Così anche i conti della sanità potrebbero tornare in quadra.
Col sistema regionale della sanità è stato creato un mostro sfrenato ed incontrollabile. Si va ripetendo che la Regione Calabria, a causa del suo “profondo rosso” ha bisogno di recuperare gli sprechi. Ma prima di gravare sui cittadini e prima che i cittadini si rassegnino, urgerebbe accertarsi dove siano stati allocati gli sprechi. Sicuramente non in servizi che sono stati invece fortemente compromessi, come per alcuni ospedali di montagna o di utilissimi front-line e guardie mediche nel mirino della nuova camaleontica parsimonia. Molto più efficace sarebbe l’eliminazione di prebende e rendite corruttive elettoral-mafiose. Nell’utopica ipotesi che, viceversa, i soldi dei cittadini fossero stati destinati a premurosi miglioramenti dei servizi, una scusante sarebbe in re ipsa. Oltretutto sarebbe potuto verificarsi un graduale risparmio di ritorno, derivante dal miglioramento della salute pubblica, specie se si tiene conto dell’elevata percentuale di anziani in Calabria, causata dalla forte emigrazione giovanile imposta dalla mancanza di lavoro.
Diversamente, per quale altra comprensibile buona causa dovrebbe essere spremuto ai cittadini il sangue che non hanno più da farsi estrarre neppure per le analisi?
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