Lunedì, 31 Marzo 2014 09:27

Il Canzonato/ 8

 

La caduta dellimpero

di Francesco Tiron Petrarca

XVII

Piovongli amare lacrime dal viso

più lunghi adesso sono i suoi sospiri

che dopo tutti i suoi sporchi raggiri

pel Gabbio finalmente s'è deciso!

 

Non è più dolce il suo mansueto riso

L'esecutivo adesso si ritiri...

6 anni sian di foco e di martìri!

I Giudici..., son loro che han deciso

 

I Consiglieri e gli uomini a lui cari

non hanno più pietà per l'uomo in mare

son pronti già ad abbandonar la nave...

 

E come gli infedeli legionari

da lontano li si sente già gridare:

Scopelliti?! Chiudetelo e gettate via la chiave!

 

XVIII

E subito, ei si difende ad arte:

“Su ciò che io decisi non si fa luce…

Non posso dir di no… Io sono il Duce!!

E questa è ciò che chiamo la mia parte…

 

Non faccio mai scoprire le mie carte

Io sono duro più d’un grande scoglio

e non accetto mai nessun consiglio…

O stai con me o te ne stai in disparte

 

Ma non son responsabile di morte

Io, povero Sindaco, potevo sapere

di cosa la Fallara si appropriava…?

 

Io piango la sua amara e triste sorte…

Firmavo carte, esercitavo il mio potere

Mentr’ella di soppiato scialacquava…”

 

In foto La caduta dell'Impero d'Occidente

 

 

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mini presentazione_libroContinua il percorso letterario dell’Associazione Culturale Il Brigante. Questa volta nei locali della sede storica del sodalizio, a Serra San Bruno, verrà presentata l’interessante prima fatica della giovane autrice cosentina Chantal Castiglione. Studiosa dei movimenti sociali, neo laureata in Scienze Politiche, ha condotto nella sua opera d’esordio, titolata “Tra speranze ed illusioni – L’Italia negli anni di piombo”, un’appassionante indagine su quelli che il potere ha volutamente fatto passare alla storia come, appunto, i “sanguinosi anni di piombo”. Chantal Castiglione si dimostra capace - nell’opera che presenterà presso l’Associazione il Brigante, il prossimo sabato 23 novembre dalle ore 18.00 – di far emergere vissuti, cronache e storie relegati ormai all’oblio della dimenticanza e intenzionalmente oscurati  dalle distorsioni della “storia ufficiale”.

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mini municipio serraRiceviamo e pubblichiamo:

E’ senza dubbio singolare il comportamento dell’amministrazione Rosi in merito alla gestione degli LPU utilizzati finora dal Comune di Serra San Bruno. Ed ancora più particolare è l’atteggiamento del neo Assessore Regionale al Lavoro Nazzareno Salerno che, a Catanzaro e a Roma afferma di tenere in massima considerazione il futuro lavorativo degli Lsu e degli Lpu calabresi ma poi nel suo Comune, dove sicuramente ha la possibilità di indirizzare alcune scelte, non induce alla ragionevolezza chi, incoscientemente, si adopera per mandare a casa 58 lavoratori che da tanti anni rappresentano lo strumento con cui la collettività di Serra ha potuto godere di servizi primari a costi vicino alla zero.

Solo qualche settimana fa, replicando ad una nota attribuita ad alcuni Lpu in cui si sostenevano le azioni di Rosi, ma che noi abbiamo sempre pensato fosse frutto di una “penna amica” del Sindaco, dicevamo appunto che i lavoratori dovrebbero stare sempre dalla stessa parte perché la ruota gira ed il potente potrebbe secondo i suoi umori prendersela con chiunque. La verità è, a nostro parere, che gli Lpu di Serra, che da sempre si sono adattati ai voleri ed ai bisogni degli amministratori di turno, non hanno conquistato la consapevolezza che la politica va e viene e che nessuno, ad iniziare da Rosi può inopinatamente decidere della vita lavorativa e del sostentamento economico di 58 famiglie quando, addirittura, le risorse necessarie non sono nemmeno erogate dall’ente che li utilizza.

Non ne ha assolutamente il diritto ed i lavoratori lo devono ben capire, prima loro, e poi farglielo capire all’attuale Sindaco a cui è stato consegnato un paese nobile come Serra San Bruno che a nostro parere meriterebbe ben altre attenzioni e ben altri argomenti da trattare, primo fra tutti un piano di sviluppo dell’occupazione e dell’area, ogni anno che passa sempre più emarginata e periferica, a dispetto del fatto che lì vivono o da lì provengono diversi uomini di potere, per citarne solo alcuni, Censore, Salerno, Calvetta. E comunque la responsabilità di quello che si sta preparando per gli Lpu di Serra non può essere solo opera del Sindaco, bisogna capire cosa c’è dietro, ad iniziare dalla richiesta di trasferimento in massa di alcuni di loro al Parco delle Serre, ente che attualmente, da lottizzazione politica, pare essere nelle disponibilità di Salerno, dominus di Rosi.

Qual è la strategia che anima tutto ciò? Quale epurazione si ha in mente?

Qualunque cosa questi signori pensino, deve essere assolutamente sventata, e l’unico modo per ottenere ciò è la coesione di tutti i lavoratori interessati, la loro lotta per la conquista di dignità e lavoro, una forte opposizione alle trame di chi, forte del consenso conseguito alle elezioni, ritiene forse di essere stato investito del potere di vita e di morte sui suoi concittadini. Così anziché utilizzare quella preziosa fiducia assegnatagli per portare serenità nella città e tra la gente, si diletta ad instillare preoccupazioni su preoccupazioni.

Certamente ci aspettiamo un intervento forte di tutte le opposizioni ma anche dei consiglieri di maggioranza che abbiano voglia e capacità di indurre il Sindaco a ragionare. Noi intanto, per quello che ci compete, abbiamo inoltrato una richiesta d’incontro all’Amministrazione, con l’intento di discutere di tutto ciò, alla presenza delle altre OO.SS e dei lavoratori perchè sia fatta chiarezza sulle posizioni di ognuno.

Quale azienda, se avesse la possibilità di utilizzare gratis diecine e diecine di lavoratori, magari formandoli per i servizi che più sono utili ed investendo su di loro magari per un ricambio quando i veterani andranno in pensione, li rifiuterebbe? Credo nessuno, a meno che non abbia tutte le rotelle al proprio posto. Oppure a fare paura è proprio l’eventualità che qualcuno reclami una stabilizzazione che riempirebbe gli organici per i prossimi 15 anni e quindi impedirebbe le solite pratiche clientelari?

Luciano Prestia
Segretario Provinciale UIL Vibo Valentia

 

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Sabato, 27 Aprile 2013 13:49

La mafia è di destra o di sinistra?

mini enotrio-pugliese-onorata-societa-casolare-uomo-fucile_1La mafia è di destra o di sinistra? Tranne qualche eccezione, come ad esempio la famiglia Mancuso di Limbadi, che storicamente o almeno fino a qualche decennio addietro si professava di sinistra, la mafia e la ‘ndrangheta hanno sempre appoggiato politiche e partiti di centro e di destra. Eccezione, forse non unica, Ciccio Mancuso, capostipite della famiglia malavitosa che fu ai suoi tempi iscritto al PCI, e fiero della sua tessera di partito in tasca, avviò, con scarsi, scarsissimi risultati la propria progenie alla ad una formazione di sinistra. Anche le varie diversificazioni della cultura popolare sono state a volte assorbite dalla malavita. Per vestire il ruolo dell’”istituzione” ‘ndrangheta di un’aura popolare, di tradizione, vengono creati miti rubando anche musiche e balli. Questo accade principalmente per creare scientificamente quel substrato di cultura deviata che attecchisce nelle classi più disagiate e nei giovani, che per primi vengono affascinati da questo potere malvagio, che dapprima nasconde il suo vero volto di dolore, e mostra le sembianze di bella donna ammaliatrice. Lo stesso desiderio di darsi “nobili” origini, di autoproclamarsi prosieguo del brigantaggio, è una delle bugie maggiori e molto meglio riuscite alla mafia. I tre cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso, la ‘ndrina, l’onorata… Il brigantaggio fu un movimento popolare perchè canalizzò la carica di protesta e i fermenti di ribellione delle classi subalterne calabresi, anche se in forme individualistiche e prepolitiche. Anche se non si può certo negare il tentativo spesso riuscito di strumentalizzare questo movimento rivoluzionario, che potremmo, al limite, anche se con le dovute proporzioni, paragonarlo più che alla mafia al movimento partigiano (anche se quest’ultimo molto più politicizzato) o a tentativi di rivolta armata come può essere stato il movimento del sessantotto e le brigate rosse. 

La mafia, contrariamente a quanto spesso, troppo spesso viene scritto, non è mai stata popolare, non è cioè un insieme di manifestazioni delle classi subalterne, ma riguarda essenzialmente determinati gruppi di classi dominanti che, in alcune circostanze e per determinati motivi, gestiscono il potere o cercano di entrare a farne parte in modo subdolo e sotterraneo. Il fenomeno della mafia può essere compreso nella sua genesi, nelle sue implicazioni, nella sua funzione, in una prospettiva rigorosamente marxista, che utilizzi, s’intende, anche i concetti elaborati dalle “scienze dell’uomo”, senza però cadere nell’ambiguità tipica dell’uso borghese di esse, per cui vengono ad esempio arbitrariamente assimilati i concetti di gruppo e di classe, che “marxisticamente” vanno nettamente distinti in questa prospettiva. Occorre partire dalla divisione della società in classi contrapposte, dominante e subalterna. La mafia costituisce il tentativo delle classi dominanti di conservare l’egemonia o di partecipare ad essa in maniera maggiore, attraverso mezzi extralegali o sovrapposti al potere legale e organizzando, quindi, una serie di comportamenti che servono al mantenimento del dominio di classe. L’aspetto reazionario della mafia è immediatamente percepibile sol che si pensi alle forze politiche (decisamente conservatrici) che si poggiano ad essa e che essa appoggia, sempre nel senso opposto alle rivendicazioni dei contadini e dagli operai (la strage di Portella della ginestra o la repressione di Caulonia o l’uccisione delle decine di sindacalisti siciliani, o di Peppe Valarioti in Rosarno). La connessione tra mafia e forze politicihe conservatrici è stata sottolineata da diversi autori. Gemelli nota: “L’origine di questa famosa istituzione risale all’epoca feudale, quando alle forze pubbliche sostituivasi dappertutto la forza personale, quando il barone, il proprietario per difendere la roba erano obbligati a tenere al proprio obolo delle squadre di uomini facinorosi i quali proteggevano è vero il castello e la masseria, ma a patto di essere difesi e protetti contro le autorità per tutte le prepotenze e delitti e ruberie che commettevano agli altri” (Storia della Siciliana Rivoluzione del 1848). Il radicamento attuale dei partiti di destra nella ‘ndrangheta è oramai evidente e lo si percepisce nel territorio, anche se spesso anche i partiti di sinistra non ne sono immuni. Un’associazione di sinistra, che lavora sul territorio, che cerca di veicolare ai giovani punti di vista diversi dal pensiero dominante, sempre improntati alla solidarietà e al collettivismo, per i motivi storici che ho cercato di riassumere in questa riflessione, e perchè mantiene viva la cultura popolare e antagonista, è ancora destinataria di teste di pecore sgozzate, perché - e di questa espressione la mafia può assumersi tranquillamente la paternità - “lu cumannari è miegghjiu di lu futtari”.

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Domenica, 09 Dicembre 2012 20:08

Il Canzonato/3

mini canzonato_3di Francesco Tiron Petrarca

V

Quand’ei move i sospiri a chiamar voi

pregando Iddio che nel cuor suo non muore

gridando s’incomincia udir di fore

il suon de’ primi dissidenti suoi.

Del suo stato real che incontra poi

raddoppia e si fa alta la tensione

e: "Taci" grida in fine al suo squadrone

che d’altri homeni vorrebbe che dai suoi.

In poi, l’amministrare insegna

che le promesse non siano di domani

ed ogni riverenza a lui assegna

finzione, che ognun di noi disdegna.

A parlar de’ suoi ormai secchi rami

lingua cosciente e pretestuosa vegna!

VI

Sì traviato e folle è il suo desio

a seguitar la gente che in fuga è volta,

e dei lacci del Potere leggera e sciolta

grida dinanzi al lento lavorìo

di quella sua di Giunta ormai in oblio

che la secura strada è capovolta

niuno vuol spronarlo ora ch’è alta

la fama del suo scegliere restio.

Et poiché sfiducia a sé raccoglie

subisce in lì la signoria di Lui,

che mal suo grado a "morte" lo trasporta:

sol per goder domani d’alte soglie

coi voti frutto della piaghe altrui

ergendosi a fautore della svolta  

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mini atlantedellemafieRicotta calda con pane raffermo, aragoste e capocollo. Combinazioni forse insolite ma che raccontano molto di quel mondo fatto di valori arcaici tipici del mondo contadino e di feticci del lusso su cui la ndrangheta costruisce la propria immagine. Non esiste certo un codice alimentare mafioso che preveda determinati cibi o ne proibisca altri ma all’interno di quelle che sono le abitudini alimentari dei capibastone emergono chiaramente i due aspetti che caratterizzano le mafie oggi: il rispetto della tradizione (che si evince anche dalla sopravvivenza dei riti di affiliazione) e l’aspetto internazionale che le mafie sono riuscite a conquistare.

Quello che però conta di più non è tanto quello che si mangia ma l’aspetto conviviale. Cene e banchetti sono momenti fondamentali per stringere alleanze, studiare strategie. I matrimoni, così come accadeva nelle famiglie nobiliari di un tempo, possono diventare occasioni consolidare rapporti tra clan, così come i battesimi e le cresime forniscono l’occasione per creare parentele “spirituali” che si trasformano a loro volta in nuovi patti, in nuove alleanze. Tutto a tavola. E’ la tavola il vero foglio bianco su cui si scrivono i contratti delle mafie.

A parlarci di questi aspetti e a raccontarcene i risvolti non solo antropologici ma anche storici e culinari è Gianfranco Manfredi, giornalista esperto in eno-gastronomia, nel primo volume del documentatissimo “Atlante delle mafie” edito da Rubbettino e lanciato in questi giorni in libreria.

L’atlante curato da Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales è suddiviso in tre volumi la cui pubblicazione verrà completata nell’arco di tre anni. Il primo volume tocca già argomenti di grande interesse e attualità: dalla storia della Camorra, al rapporto tra mafie e Chiesa, dai giudici antimafia allo scandalo calciopoli.

Il volume

A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’Atlante delle mafie prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Se un fenomeno, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, affrancandosi dalle condizioni storiche e territoriali che ne resero possibile la sua originaria espansione e proiettandosi così agevolmente nella contemporaneità (divenendo addirittura un modello vincente per tutte le violenze private del globo) non è utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Esse vengono sintetizzate in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema. È stato proprio questo luogo comune a tenere per anni in ombra il vero motivo del successo delle mafie. Mentre alcune forme di violenza e di contestazione armata del potere costituito si sono manifestate contro le leggi e contro la visione unitaria dello Stato (il brigantaggio nell’Ottocento, le rivendicazioni etniche-territoriali e il terrorismo politico nel Novecento) e perciò alla fine sono state sconfitte, le mafie hanno usato una violenza non di contrapposizione, non di scontro frontale, ma di integrazione, interna cioè alla politica e al potere ufficiale. Dunque, per mafia si deve intendere una violenza di relazione e di integrazione. In questa loro caratteristica consiste la ragione del loro perdurante successo.

Antonio Cavallaro

Ufficio Stampa RUBBETTINO EDITORE

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mini bastone_del_cittadino_a_FabriziaRiceviamo e pubblichiamo: 

FABRIZIA - In questi giorni si sono accavallati un paio di eventi politici di notevole rilievo sostanziale i quali, tuttavia, considerandoli all'esito dello svolgimento e sotto il profilo della magra risonanza ottenuta, si sono rivelati di scarsissimo interesse partecipativo per la cittadinanza di Fabrizia: il Consiglio Comunale di sabato scorso e le primarie del Centro-sinistra del 25 novembre.

Quasi ignorati entrambi.

Il Consiglio comunale non ha più nulla da far conoscere: il sistema è consolidato ed il potere non ha altro compito se non quello di perpetrare se stesso – sia pur nel totale immobilismo amministrativo e decisionale.

Una mesta presidenza, quasi artificiale, utile solo per la modesta remunerazione e, forse, per ravvivare un morente sentimento di potere in estinzione.

Nonostante gli argomenti abbastanza rilevanti per l'intera collettività, siamo costretti ancora una volta a sottolineare la negativa dimostrazione d'interesse della gente e, cosa ancora più grave, della minoranza consiliare – latitante sia sotto il profilo della forma sia sotto quello dei contenuti. Questo è, non ci stanchiamo di rilevarlo, un grave nocumento alla democrazia, poiché in assenza della necessaria partecipazione dell'Opposizione consiliare, si perde il contrappeso democratico della gestione della cosa pubblica.

Sotto il profilo contenutistico, poi, non si è capito bene quali siano i provvedimenti che il Consiglio ha approvato per l'assestamento di bilancio. Infatti, chi aveva il potere e dovere di richiedere i chiarimenti, cioè l'Opposizione, non ha rivolto il suo interesse al problema, pur mantenendo formalmente l'attribuzione elettorale. L'Amministrazione in carica ringrazia sicuramente per l'autonomia ed il monopolio di fatto che, a scapito delle istanze democratiche e partecipative, gli è stato regalato.

Eppure, l'assestamento di bilancio è un argomento così importante che, da solo, avrebbe meritato maggior credito. Mancano circa 59 mila euro per quadrare il bilancio, è stato detto. La soluzione ha fatto riferimento semplicisticamente alla necessità di affrontare con oculatezza la situazione, non rilevando altri problemi sostanziali. Pare tuttavia che i problemi ci siano. Perché, altrimenti, prevedere la necessità di vendere appositamente le case popolari, non in risposta a legittime istanze abitative degli aventi diritto, ma solo strumentalmente, per quadrare il bilancio? Pur assumendo per buono l'intervento di salvaguardia degli equilibri di bilancio mediante l'alienazione di case popolari, si deve in ogni caso tener presente che l'entrata che si prevede a copertura del disavanzo deve avere il requisito della certezza. Nel caso di alienazione di immobili (secondo la Corte dei Conti) la certezza di entrata si ha solo in presenza del titolo che ne attesti la compravendita, non essendo sufficiente il compromesso o il preliminare di vendita, dai quali si acquisisce solo il diritto di portare a termine l'operazione. Pertanto, nel caso di specie, con la semplice emissione del bando per la dismissione non si può dire che si sia di fronte ai requisiti richiesti per avere la “certezza” dell'entrata. Tutto ciò è questione sostanziale: riguarda il rispetto del principio di legalità nell'agire amministrativo – a prescindere dalla giustezza e dalla opportunità inerente la scelta della vendita delle case, probabilmente abitate da famiglie che non possiedono le capacità economiche per acquistare la proprietà di un alloggio. Per inciso, non si può tralasciare un altro dato oggettivo: Fabrizia è strapiena di case in vendita, forse a più buon mercato e migliori di quelle offerte dal Comune.

Infine, sull'argomento dei rilievi della Corte dei Conti, riferiti in sintesi dal Sindaco, liquidato con noncurante ovvietà mediante un semplicistico rinvio al “prendere per buona” la relazione della Responsabile di Ragioneria, non vi è stato alcun esaustivo chiarimento. Si potrebbe, in teoria, comprendere il disagio per l'assoluta mancanza di pubblico, se non fosse che nella stessa sala vuota, il Sindaco ha, invece, ritenuto essenziali altre comunicazioni, di natura politico-propagandistiche, quale il preannuncio del prossimo resoconto semestrale dell'amministrazione.

A tutto ciò si aggiunga una breve meditazione sullo svolgimento delle primarie del Centro-sinistra: ancora una volta si rileva il fenomeno di un grande disinteresse per alcuni eventi di rilievo della vita sociale. E' stato così per questa occasione di democratica partecipazione alla scelta della leadership di metà del popolo italiano, del rappresentante che probabilmente dovrà governare le sorti del Paese Italia per cinque anni dal prossimo marzo 2013. Si consideri che ha votato uno scarso 6% degli aventi diritto. Cosa dire? Sarà colpa del disamore per la politica, come dappertutto? Oppure ci sarà un motivo più radicato nell'ambito locale, che discenda da umori contrastanti e da notevoli incertezze per un futuro sociale in forte inibizione, promanante dalla strana mescolanza politica e dall'intreccio di interessi tutt'altro che democratici e trasparenti su cui è stato costruito l'ultimo esperimento elettorale?

Maria Cirillo

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mini Mani-in-cateneNon siamo avanguardia, noi calabresi. Non siamo mai stati un laboratorio politico, come la Sicilia. Non abbiamo mai anticipato le dinamiche nazionali. A noi non piace essere avanti. Si arriva primi ma si è anche più esposti. No. Noi preferiamo seguire qualcuno o qualcosa, prendere esempio, farci guidare. Come un bambino sulle strisce pedonali. E non è il solito sermone sulla sudditanza dei calabresi e sulle dominazioni subite nella storia. Si parla della democrazia dell’oggi, o meglio del suo simulacro, ridotto a brandelli in un paese in cui ci sono voluti i “tecnici” per liberarci (?) dal berlusconismo e, soprattutto, per farci capire che il potere è una cosa seria, e che non siamo affatto liberi. L’Italia infatti è stata commissariata. Il potere ha scelto un garante più affidabile e spietato.

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Venerdì, 18 Maggio 2012 10:35

Mpa: 'Al bando inciuci o trasversalismi'

mini mpa serraRiceviamo e pubblichiamo: "Le generazioni future non siano vittima della politica attuale. Una politica quella attuale che per accaparrarsi qualche poltrona, rischia di perdere l'ideologia di un tempo che distingueva, ad esempio, un democristiano da un comunista, che cerca disperatamente il potere per essere qualcuno o che è disposta a tutto per acquistare potere, anche a prostituirsi politicamente. Si rimpiange cosi la politica di una volta che utilizzava il partito politico come una vera e propria associazione di persone accomunate da una comune visione sulle questioni fondamentali della gestione delle Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari, mentre, oggi, specie nella concezione di molti individui, appartenere ad un partito politico significa identificarsi in un gruppo di persone che fa riferimento ad un “capo”. Si assiste cosi ad una mutazione della politica. Niente di più sbagliato, venendosi molto spesso a confondere la politica con il personalismo che racchiude molto spesso sentimenti negativi come l'odio, il tradimento, la malvagità, la malafede, che nulla hanno a che fare con la politica. Il personalismo rischia di condizionare gli accoliti ed offre un cattivo esempio alle generazioni future che intendono fare una politica basata sulla comunanza di idee e valori, su un progetto di tutela, salvaguardia e rilancio del territorio. In tale contesto, in un clima di bene per Serra San Bruno, in un momento dove la politica deve dimostrare di essere pilastro di democrazia, difesa del territorio, il dialogo con altre coalizioni politiche è davvero possibile, eliminando non l'albero e la mela marcia, ma solo la mela marcia. Al bando dunque inciuci o trasversalismi ed apertura ad intese che poggiano sulla ideologia politica. Sono convinto che chi vuol far politica, debba essere fermamente contrario ai personalismi i quali trasformano l'avversario nel nemico che, trasformano i dialoghi politici, in scontri personali e costituiscono una cattiva educazione per i giovani che vogliono avvicinarsi alla politica con pienezza di speranza e di entusiasmo".

Vincenzo Albanese

Coordinatore Comprensorio delle Serre MPA-AD

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Giovedì, 26 Aprile 2012 17:18

Siamo tutti impiegati

mini storia_di_un_impiegato“Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza, fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni, da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. Lo diceva, o meglio lo cantava negli anni ’70 Fabrizio De Andrè in un concept album, “Storia di un impiegato”, le cui canzoni ruotano intorno ad un unico filo conduttore come fossero i capitoli di un romanzo. Attraverso la storia di un trentenne, impiegato alle poste, il compianto cantautore genovese, ripercorreva la vicenda umana e politica dell’italiano medio, di quell’essere piccolo borghese che, in cambio del rispetto delle regole di chi detiene il potere, ha la possibilità di godere quei pochi “privilegi” (“banca e famiglia danno rendite sicure”) che la “maggioranza” parlamentare gli concede, fino a quando decide di ribellarsi e viene messo in carcere dove acquista la coscienza collettiva di appartenere tutti alla stessa classe di sfruttati. Già, perché io non credo che “il potere logora chi non ce l’ha”, quando vi è la ribellione chi detiene il potere ne esce sconfitto, logorato, un po’ come quel genitore spossato dopo aver atteso per ore che il proprio figlio, minorenne, rientri a casa durante le tarde ore della notte. Il termine stesso “maggioranza” che deriva dal latino majores è assai ambiguo. E’ curioso vedere come le parole spesso mutano significato col tempo, ed oggi questo stesso termine identifica la minoranza che detiene il potere. Lo stesso popolo, cioè la maggioranza, è chiamato in causa esclusivamente nel momento in cui è giunta l’ora di conferire, attraverso il voto, i privilegi a questa minoranza di privilegiati. Oggi, col Governo Monti è nata una nuova minoranza che è giunta in soccorso di quella politica, la minoranza dei tecnici che, sul presupposto di un pareggio di bilancio, sta mettendo in croce la maggioranza dei tanti italiani che non li aveva delegati a governare. Non si tratta certamente di un governo illegittimo perché gode sempre di una maggioranza-minoranza che lo sostiene ma di un governo non rappresentativo, cioè di un governo prestanome che governerà in nome e per conto del potere economico. E oggi siamo un po’ tutti impiegati, con la voglia di ribellarci ma senza alcuna intenzione di perdere quei minimi privilegi che una vita piccolo borghese ci regala.

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