mini vdfGEROCARNE - Ennesimo episodio criminoso nel piccolo centro del Vibonese. Questa notte, infatti, ignoti hanno dato alle fiamme una Volkswagen Golf di proprietà di A.A., 38enne del posto. L'autovettura era parcheggiata nel cortile dell'abitazione della donna, in contrada "Comunella". Sul posto, sono intervenuti i Vigili del Fuoco, che hanno provveduto a spegnere le fiamme, ed i carabinieri della stazione di Soriano Calabro, diretti dal maresciallo Barbaro Sciacca. L'incendio potrebbe essere doloso. L'ultimo episodio in ordine di tempo si è verificato, invece, una settimana fa, nella frazione Sant'Angelo di Gerocarne, dove ad essere incendiata è stata una Fiat 500 vecchio modello.

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treassunteCome si ricordava nell’articolo riguardo la nascita di località Spinetto a Serra San Bruno (vedi correlato a piè di pagina), sul territorio comunale esistono due chiese omonime dedicate alla Madonna dell’Assunta, della quale oggi si tengono i solenni festeggiamenti. Oltre alla “divisione” della popolazione, che si venne a creare di conseguenza al terremoto del 1783, per molti anni, spinittari e teravicchiari (rispettivamente abitanti del nuovo e del vecchio nucleo urbano), il 15 di agosto hanno festeggiato separatamente la festa dell’Assunta con due differenti programmi religiosi e civili, entrambi presieduti dalle omonime congregazioni.

Come racconta Domenico Pisani nel capitolo “L’arte” della pubblicazione “Serra San Bruno e la Certosa” – curata a sei mani con Salvatore Luciani e col professor Tonino Ceravolo – «l’opera che più ha fatto parlare di sé è la bella statua lignea della Madonna dell’Assunta (XVIII sec.), conservata nella chiesa (antica ndr)».

La stessa, quasi sicuramente opera dell’artista serrese Antonio Scrivo, è stata fatta su modello della meravigliosa Assunta di manifattura napoletana (XVII sec.), che si trova nell’omonima chiesa di Spinetto, trasferita in quella dopo il terremoto del 1783, e che la comunità ivi sorta non volle ridare alla popolazione di Terravecchia.

Dunque, una volta che l’antica chiesa dell’Assunta – conosciuta anche come chiesa di San Giovanni o della “panella”, per il fatto che i certosini vi distribuivano il pane per i poveri – riprese il normale esercizio delle funzioni, venne commissionata una nuova statua della Madonna sul modello dell’antica.

«Quando si pensò di restaurare la vecchia chiesa – scrive ancora Pisani – […] gli abitanti di Terravecchia ordinarono una copia perfetta a uno sconosciuto scultore serrese, forse Antonio Scrivo». In realtà, la Madonna realizzata da Scrivo per la chiesa dell’Assunta di Terravecchia, sarebbe la seconda copia fatta su modello dell’antica. «Probabilmente – sostiene Domenico Pisani – per l’esecuzione della nuova statua fu indetto un concorso. Ciò spiegherebbe l’esistenza di una terza scultura, opera di Vincenzo Zaffino (artista serrese ndr) […] conservata nel museo diocesano di Rossano, dove fu portata dall’arcivescovo Bruno Maria Tedeschi».

Forse la statua di Zaffino ai serresi non piacque. Ragion per cui venne di seguito commissionata a Scrivo. La leggenda racconta che, dopo che Vincenzo Zaffino ebbe realizzato la sua copia dell’Assunta, la figlia di lui nacque con un accentuato strabismo, percepibile anche sulla statua Madonna che egli aveva realizzato. «Fu così che per voto – dice ancora Pisani – eseguì la statua di Santa Lucia, oggi conservata nella chiesa dell’Addolorata di Serra». Secondo la tradizione orale, la figlia di Zaffino ottenne così il miracolo della guarigione.

-Serra, le chiese dell’Assunta e le origini del 'conflitto' tra Spinetto e Terravecchia

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mini 1538713_10202904595727619_7789417547659384432_nCi abbiamo creduto. Entrambi i soggetti avevamo fortemente voluto questo incontro, dopo mesi di lavoro comune nella distribuzione dei prodotti agricoli della Piana di Gioia Tauro attraverso oltre venti Gas del nostro territorio e con il concorso del Distretto di economia rurale solidale (che ci ha portato in dote da ormai un anno le relazioni con i produttori del Parco agricolo Sud Milano). 

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mini mimmo_lucano«Se toccano me non ho problemi, posso anche resistere ai proiettili. Ma non devono toccare la mia famiglia». Queste le parole di Domenico Lucano sindaco di Riace, dopo che il figlio Roberto è stato aggredito qualche giorno fa da un uomo che rivendicava il comando su una strada pubblica. Il reato di Roberto? Passeggiare in compagnia del suo cane. Un'aggressione subita senza un plausibile motivo, cosa che secondo Lucano avalla maggiormente la presenza di un'autorità mafiosa.

Intimidazioni, odio razziale, aggressioni, tutto questo nei confronti di un sindaco voglioso di cambiare le cose, senza estremismi o abusi di potere, ma solo con il buon senso e la pretesa di amministrare bene.

Non basta creare circoli economico-culturali virtuosi per avere il consenso di tutti, anzi, è molto più semplice amministrare male e rifugiarsi dietro la retorica dello scarica barile che mettersi d'impegno per fare bene. L'attività amministrativa di Domenico Lucano a Riace, per esempio, ha del virtuoso, dell'innovativo, si fonda semplicemente su principi fondamentali quali il rispetto dell'essere umano. Eppure, ci vuole tanto coraggio ad agire nel giusto. Col sindaco Lucano finalmente, i migranti approdati sulla costa ionica hanno trovato in Riace un porto amico, dove poter vivere senza delinquere per raccattarsi un tozzo di pane. Il modello portato avanti dal sindaco di Riace è anche una spranga per i disumani CPT e una mano tesa all'integrazione. Come fa notare Lucano, un migrante che vive a Riace in attesa d'essere identificato costa allo Stato 20 euro piuttosto dei 60 euro che ne derivano dalla permanenza nei centri temporanei.

Corsi di riqualificazione professionale tenuti direttamente dai riacesi, ripresa delle case abbandonate del centro storico, integrazione e rilancio economico di una cittadina destinata a diventare un non luogo... In cambio di continue intimidazioni e bastoni tra le ruote. Ora il caso di Roberto Lucano che subisce un aggressione senza alcun motivo. Ma, come dire, quello che va di moda oggi d'altronde è il modello Reggio non il modello Riace!

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mini imuCi siamo. Da domani tutti in fila per pagare l’ultima rata dell’imu. Chi non si è affidato al commercialista la può versare in banca con il modello F24, alla posta con un semplice bollettino di conto corrente, oppure con l’ausilio di un intermediario abilitato come i CAF (Centri di Assistenza Fiscale). Il saldo è più salato rispetto agli acconti già versati in precedenza perché molti Comuni hanno aumentato le aliquote di base rispetto all’acconto di giugno. Chi ha deciso di fare da se, dovrà prima di tutto consultare le delibere del proprio Comune di appartenenza direttamente dal sito del Comune o su quello del Ministero dell’Economia, ed individuare quindi l’aliquota applicabile nonché le detrazioni.

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mini atlantedellemafieRicotta calda con pane raffermo, aragoste e capocollo. Combinazioni forse insolite ma che raccontano molto di quel mondo fatto di valori arcaici tipici del mondo contadino e di feticci del lusso su cui la ndrangheta costruisce la propria immagine. Non esiste certo un codice alimentare mafioso che preveda determinati cibi o ne proibisca altri ma all’interno di quelle che sono le abitudini alimentari dei capibastone emergono chiaramente i due aspetti che caratterizzano le mafie oggi: il rispetto della tradizione (che si evince anche dalla sopravvivenza dei riti di affiliazione) e l’aspetto internazionale che le mafie sono riuscite a conquistare.

Quello che però conta di più non è tanto quello che si mangia ma l’aspetto conviviale. Cene e banchetti sono momenti fondamentali per stringere alleanze, studiare strategie. I matrimoni, così come accadeva nelle famiglie nobiliari di un tempo, possono diventare occasioni consolidare rapporti tra clan, così come i battesimi e le cresime forniscono l’occasione per creare parentele “spirituali” che si trasformano a loro volta in nuovi patti, in nuove alleanze. Tutto a tavola. E’ la tavola il vero foglio bianco su cui si scrivono i contratti delle mafie.

A parlarci di questi aspetti e a raccontarcene i risvolti non solo antropologici ma anche storici e culinari è Gianfranco Manfredi, giornalista esperto in eno-gastronomia, nel primo volume del documentatissimo “Atlante delle mafie” edito da Rubbettino e lanciato in questi giorni in libreria.

L’atlante curato da Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales è suddiviso in tre volumi la cui pubblicazione verrà completata nell’arco di tre anni. Il primo volume tocca già argomenti di grande interesse e attualità: dalla storia della Camorra, al rapporto tra mafie e Chiesa, dai giudici antimafia allo scandalo calciopoli.

Il volume

A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’Atlante delle mafie prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Se un fenomeno, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, affrancandosi dalle condizioni storiche e territoriali che ne resero possibile la sua originaria espansione e proiettandosi così agevolmente nella contemporaneità (divenendo addirittura un modello vincente per tutte le violenze private del globo) non è utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Esse vengono sintetizzate in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema. È stato proprio questo luogo comune a tenere per anni in ombra il vero motivo del successo delle mafie. Mentre alcune forme di violenza e di contestazione armata del potere costituito si sono manifestate contro le leggi e contro la visione unitaria dello Stato (il brigantaggio nell’Ottocento, le rivendicazioni etniche-territoriali e il terrorismo politico nel Novecento) e perciò alla fine sono state sconfitte, le mafie hanno usato una violenza non di contrapposizione, non di scontro frontale, ma di integrazione, interna cioè alla politica e al potere ufficiale. Dunque, per mafia si deve intendere una violenza di relazione e di integrazione. In questa loro caratteristica consiste la ragione del loro perdurante successo.

Antonio Cavallaro

Ufficio Stampa RUBBETTINO EDITORE

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mini Mani-in-cateneNon siamo avanguardia, noi calabresi. Non siamo mai stati un laboratorio politico, come la Sicilia. Non abbiamo mai anticipato le dinamiche nazionali. A noi non piace essere avanti. Si arriva primi ma si è anche più esposti. No. Noi preferiamo seguire qualcuno o qualcosa, prendere esempio, farci guidare. Come un bambino sulle strisce pedonali. E non è il solito sermone sulla sudditanza dei calabresi e sulle dominazioni subite nella storia. Si parla della democrazia dell’oggi, o meglio del suo simulacro, ridotto a brandelli in un paese in cui ci sono voluti i “tecnici” per liberarci (?) dal berlusconismo e, soprattutto, per farci capire che il potere è una cosa seria, e che non siamo affatto liberi. L’Italia infatti è stata commissariata. Il potere ha scelto un garante più affidabile e spietato.

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Venerdì, 12 Ottobre 2012 18:42

Salerno-Reggio: lavori in corso

mini salerno-rosi-don_peppeBalla la Calabria. Tra sciami sismici, tarantelle rivisitate e terremoti giudiziari, la nostra è diventata una terra ballerina a tutti gli effetti, come una danzatrice del ventre che muove in modo sensuale il proprio addome. Lo sfacelo del sistema Reggio, commissariamento, Leonia, arresto (causale?) proprio il giorno dopo del superlatitante Domenico Condello, in “arte” Micu ‘u Pacciu. Insomma è evidente che un’altra gestione sta prendendo il predominio della Città dello Stretto. Un crollo al contrario. Perché colui che è stato a capo, l’ideatore del modello Reggio, Giuseppe Scopelliti, rimane ancora in piedi, una torre alla quale crollano le fondamenta, ma incredibilmente, la testa e i “merli” rimangono sospesi. Come per magia. Non è certo da imputare ad Arena la gestione della Multiservizi o della Leonia, ma alla precedente amministrazione. Sarebbe come condannare Bruno Rosi per aver allacciato Serra all’Alaco.

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mini presidente-provincia-vibo-de-nisiMentre tutta la Calabria aspetta le decisioni del Viminale che, in un senso o nell'altro, segneranno il futuro del famigerato modello Reggio, nella provincia più disastrata della regione ci si comincia ad interrogare sull'esistenza di un ulteriore poco edificante modello Vibo. Si assiste, a meno di clamorose novità, agli ultimi rantoli di un ente che sul territorio è spesso apparso inutile, come però non lo è stato per i vari caporioni della politica che lo hanno usato per spremerne le casse e piazzare i loro pupilli assetati di poltrone ben visibili e remunerate. Questa fine ingloriosa dell'ente però è resa più amara dalla vicenda dell'ammanco milionario che ha portato alle dimissioni un'impiegata dell'ufficio Affari Finanziari, Mirella Currò

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Sabato, 25 Agosto 2012 18:18

Modello Serra

modello Serra

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