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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
RENDE - Il dibattito (e le battaglie) sullo sfruttamento dei beni comuni fa oramai parte della quotidianità: fondamentalmente perché la politica non riesce e non vuole recepire l’urlo dei cittadini che si battono per i loro diritti fondamentali condannando gli intricati sotterfugi che da vent’anni a questa parte esistono tra amministratori locali, banche e multinazionali. Ieri, a partire dalle ore 18, nei locali del Museo del Presente a Rende (CS), si è tenuto un dibattito sulla proposta di legge regionale di iniziativa popolare per l’acqua pubblica, disegno per il quale è stata avviata la raccolta firme e che dovrebbe applicare la volontà dei cittadini largamente espressa in occasione del Referendum del 12-13 giugno 2011. Al tavolo dei relatori erano presenti Gennaro Montuoro, rappresentante del Coordinamento Calabrese Acqua Bene Comune, Daniele Pisano, giovane amministratore del comune di Serra Pedace, il consigliere regionale Mimmo Talarico (Italia dei valori) e il prof. Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto Pubblico all’Università di Sorbona e già assessore al comune di Napoli.
Il primo ad esprimere il proprio sostegno nei confronti dell’iniziativa è stato proprio il giovane Pisano, il quale ha chiosato sull'indifferenza che la Sorical (della quale la multinazionale Veolia rappresentava la parte privata) in questi anni ha mostrato nei confronti dei cittadini a favore dei soli profitti che con l’acqua poteva ottenere. Infatti, con lo sfruttamento del bene per eccellenza, dal 1994 ad oggi non è mai stato avviato, da parte del gestore privato, un investimento al fine di ripristinare la vecchia rete idrica per offrire così un servizio migliore ai cittadini. Unico scopo: distribuire acqua ed incassare profitti.
Il giovane attivista Gennaro Montuoro ha introdotto una breve parentesi, offrendo un nuovo paradossale sguardo al mondo della nostra "cara" politica: «Mentre qui stiamo discutendo su come far valere il risultato referendario, nei palazzi della Regione, per mano di Gentile, si sta pensando a come rinnovare la fiducia a Sorical». Montuoro ha inoltre sostenuto che il raggiungimento degli obbiettivi referendari è necessario, prima di tutto, per condannare le politiche neoliberiste che sfruttando i beni di prima necessità (beni comuni appunto), giocano coi diritti fondamentali e colpiscono le fasce sociali deboli. Lo stesso Montuoro non ha mancato di ricordare la battaglia dei movimenti spontanei nati in tutta la Regione e soprattutto la situazione in cui versano tutti i comuni serviti dall’invaso dell’Alaco. In ultimo, l’attivista del coordinamento calabrese Acqua Bene Comune ha evidenziato i punti salienti della proposta di legge: 1- Captazione e adduzione delle acque gestita da aziende speciali di diritto pubblico; 2- Autorità di ambito, a sostituzione delle vecchie Ato, intesi come ambiti di bacino idrografico; 3- Presenza fattiva e partecipazione dei rappresentanti di tutte le realtà sociali che in questi anni si sono battute per la ripubblicizzazione del servizio idrico. Le amministrazioni locali che comunque intendessero svincolarsi da una gestione privata del servizio idrico, avrebbero accesso ad un fondo speciale al fine di raggiungere una situazione di indipendenza. Il messaggio che Montuoro lancia alla politica è quello di sostenere fortemente i comitati territoriali, di adottare al più presto il disegno di legge con deliberazioni di Consiglio, di modo che un’azione congiunta, magari delle grandi amministrazioni (come quella cosentina ad esempio già vittoriosa del ricorso al Tar contro Sorical per l’interruzione del servizio idrico), possa essere da monito per le piccole amministrazioni.
Il consigliere regionale Mimmo Talarico ha preso come esempio le città di Parigi, Napoli e Palermo che hanno detto no al «progressivo saccheggio dei beni comuni sfruttati per fare business». Lo stesso ha criticato le irrazionali scelte dei colleghi politici alla Regione, che prima si fanno promotori della loro terra con campagne di comunicazione turistica e poi, invece di prevedere dei piani energetici razionali, incentivano la smisurata creazione di centrali a biomasse (come il caso di Panettieri e Serra San Bruno). Talarico ha infine invitato i tanti presenti amministratori locali a deliberare sulla proposta di legge regionale sull’esempio dei comuni di Mendicino, Cellara, Colosimi Spezzano Piccolo, ecc.
In ultimo, il prof. Alberto Lucarelli, che da anni segue le attività dei comitati calabresi, ha espresso il suo dispiacere nei confronti di una politica che continua a disapplicare la volontà referendaria. Chiosando poi sulla malattia delle multinazionali, lo stesso ha sostenuto come le stesse, nello sfruttare i beni comuni, mirino solo ed esclusivamente a «fare affari in maniera veloce». Come? Abbattendo gli investimenti (infatti, mai è stato eseguito un intervento a favore dei cittadini) ed aumentando le tariffe dei servizi. In questo senso i profitti aumentano in maniera esponenziale. Con la gestione privata, a livello nazionale l’abbattimento degli investimenti è stato del 60%. Tutto questo nasce dal tradizionale connubio tra politica, multinazionale e malavita. «I profitti delle multinazionali - ha detto ancora Lucarelli - non vengono utilizzati per finanziare interventi locali e in più vengono delocalizzati e spesi quindi altrove».
Sottolineando la mancanza di una legge nazionale, Lucarelli porta come esempio quello napoletano, dove è stata bypassata questa carenza facendo riferimento direttamente a Diritto Europeo. Analizzando la proposta di legge calabrese, Lucarelli ha invitato i promotori a ragionare bene sull’organo di controllo della gestione e sul tema delle concessioni, per evitare che anche in Calabria si verifichino situazioni come quelle avvenute in Campania, con gli Ato 3 finiti nelle mani del clan dei casalesi.
Si aspetta adesso di verificare quale sarà, in merito alla proposta di legge regionale, la scelta dei politici locali, soprattutto di quelli che ancora oggi non vedono oltre i giochi di potere e continuano a consentire che si avvelenino circa 400mila persone restando legati all’invaso dell’Alaco gestito da Sorical.
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