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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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TROPEA - “Teatro d’amare”, la rassegna di nuova drammaturgia calabrese, è cominciata ufficialmente ieri – nella splendida piazza Ercole di Tropea – con la performance del Teatro della Maruca “Bollari, memorie dallo Jonio”.
Dopo le “Prove aperte” di sabato scorso dirette da Max Mazzotta (Libero teatro e direttore artistico della rassegna), che racconta le vicende di tre teatranti calabresi Mimì, Cocò e Carminuzzu (folle regista dei nostri tempi) a presentare ieri sera il proprio spettacolo al Teatro del Porto di Tropea è stato il giovane attore Carlo Gallo (con la collaborazione artistica di Peppino Mazzotta). Una rappresentazione incentrata sul fenomeno dei “Bollari” il miracolo che avveniva tra i pescatori e il mare sulle coste desolate dello Jonio. «Una parola antica – si legge nella nota – tradotta nel suono gutturale dei pescatori per annunciare l’avvistamento dei tonni al largo delle coste, un urlo di gioia a cui seguivano lanci e fragori di bombe in mare, pratica illegale diffusa tra i pescatori dello Jonio al fine di ricavare più pesce possibile in poco tempo e sopperire ai lamenti dello stomaco. Tratto da racconti orali lo spettacolo narra la contesa di mare tra due anziani pescatori e le vicissitudini di quella che fu la “Cecella”, il miglior peschereccio dello Jonio, negli anni del fascismo fino alle porte della seconda guerra mondiale».
Martedì 2 agosto (ore 21,45) sarà la volta di “Scena verticale”. L’attore Saverio La Ruina presenterà il proprio spettacolo teatrale “Dissonorata – Un delitto d’onore in Calabria”, accompagnato dalle musiche dal vivo di Gianfranco De Franco. «Spesso, ascoltando le storie drammatiche di donne dei paesi musulmani – spiega La Ruina – mi capita di sentire l’eco di altre storie. Storie di donne calabresi dell’inizio del secolo scorso, o della fine del secolo scorso, o di oggi. Quando il lutto per le vedove durava tutta la vita. Per le figlie, anni e anni. Le donne vestivano quasi tutte di nero, compreso una specie di chador sulla testa, anche in piena estate. Donne vittime della legge degli uomini, schiave di un padre-padrone. E il delitto d’onore era talmente diffuso che una legge apposita quasi lo depenalizzava». La storia di una donna calabrese che diventa emblema universale per riflettere rispetto a una condizione che sembra appartenere ad altre culture ma in realtà potremmo facilmente riscontrarla all’interno della famiglia nella porta accanto. Giovedì 4 agosto (ore 21,45) il sipario si aprirà su “Mio cognato Mastrovaknich” scritto da Ciro Lenti e diretto da Adriano Toman. Paola Mauro e Marco Silani racconteranno una bella pagina della solidarietà calabrese. Un luogo, Ferramonti, troppo spesso dimenticato dalla grande storia. «Un viaggio – si legge nella nota – che conduce gli spettatori in una progressiva metamorfosi dei due personaggi e che sottolinea il valore dell'accoglienza. “Mio cognato Mastrovaknich” Anno 1943. Nel campo di concentramento di Ferramonti, Uccio, un giovane fabbro del luogo, condannato per reati comuni, viene rinchiuso per errore nella baracca degli omosessuali (che a quel tempo venivano perseguitati quali “nemici della razza”)».
Martedì 9 agosto (ore 21,45) Libero teatro calcherà nuovamente la scena con “Giangurgolo, principe di Danimarca”, per la regia di Max Mazzotta. Uno Shakespeare trasposto nella Commedia dell’Arte, dove l’alter ego di Amleto diviene Giangurgolo, maschera calabrese di inizio 700. «L’idea dello spettacolo, e il percorso di ricerca che ne segue – dice Mazzotta – nasce da uno studio e una riflessione sulla Commedia dell’Arte italiana. Si tratta di un fenomeno artistico di grande impatto storico, che ha come caratteristica principale quella di essere una forma di teatro marcatamente popolare, nella quale attori e compagnie di giro hanno nel tempo raggiunto un livello di maestria tale da diventare un modello unico nella storia del teatro. La riflessione nasceva da una semplice domanda: quale è stato il contributo del teatro e del dialetto calabrese alla creazione di questa scuola, o quale è stata l’influenza della Commedia dell’Arte sul teatro dialettale calabrese? Sicuramente le maschere calabresi non hanno goduto della fama e risonanza, teatrale e letteraria, di figure quali Arlecchino o Pulcinella; ciononostante, anche la tradizione teatrale calabrese ha prodotto personaggi che, come i più illustri omologhi veneziani, bergamaschi o bolognesi, rappresentano una traccia viva e significativa della cultura di appartenenza. Fra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 faceva la sua comparsa, nelle piazze dei paesi e delle città, il personaggio di Giangurgolo, maschera calabrese il cui nome è indicativo del suo carattere; secondo alcuni, infatti, deriverebbe da Giovanni Boccalarga, nomignolo irrisorio rivolto in particolare ai dominatori spagnoli».
Martedì 16 agosto (ore 21,45) il timone passerà ad Annalisa Insardà, che interpreterà il suo “Reality Shock”. «“Reality shock” è un testo che non solo lascia poco spazio alla fantasia narrativa – spiega l’autrice – ma con il suo “grandangolo” fotografa un dato di fatto: l'interesse che crea l'ingiustizia. È l'elaborazione del palese quotidiano che, in ogni suo aspetto, vive una qualche vessazione. L'uomo contro l'uomo per la supremazia dell'uno sull'altro. Come nel regno animale. Ma non con l'istinto dettato dalla natura, bensì con la subdola strategia del potere».
Mercoledì 23 agosto (ore 21,45) sarà la volta di “La mia idea, memoria di Joe Zangara” scritto, diretto e interpretato da Ernesto Orrico Musiche originali eseguite dal vivo Massimo Garritano. «Chi è Giuseppe “Joe” Zangara? – commenta Orrico – Un emigrante insoddisfatto della sua vita, un freddo assassino, un anarchico un po' naif, un insolito comunista, un lucido protagonista del suo tempo o un uomo solo e disperato? Uno spettacolo/concerto “La mia idea” prende liberamente spunto dal memoriale che lo stesso Zangara scrive pochi giorni prima di essere giustiziato nel penitenziario di Raiford in Florida. Un racconto in prima persona della vita di questo piccolo emigrante calabrese che, attentando alla vita del presidente degli Stati Uniti Franklyn Delano Roosvelt, avrebbe potuto modificare il corso della storia. Il suo "delitto contro lo Stato" viene punito con un "delitto di Stato", a 33 anni viene fulminato sulla sedia elettrica, il 20 marzo del 1933».
Lunedì 29 agosto (ore 21,45) la chiusura della rassegna “Teatro d’amare” toccherà a Scenari Visibili con “Patres”, scritto e diretto da Saverio Tavano. Uno spettacolo che nasce «dall'intento di analizzare il rapporto tra padri e figli, intendendo la figura genitoriale come un riferimento ad ampio raggio. Questo è il tempo dell'assenza del padre, una figura che ha sempre avuto l'atavico compito di trasmettere la conoscenza, la memoria del passato. Non esistono più padri politici, padri spirituali, padri maestri; latitano o sono divenuti compagni di gioco dei loro figli. I figli tentano invano di colmare questa mancanza, in una condizione di attesa, di sospensione, di impasse. Siamo tutti figli in attesa... aspettiamo. Un giovane Telemaco di Calabria attende da anni il ritorno di suo padre, paralizzato dall'attesa, davanti all’orizzonte che può solo immaginare dal buio della sua cecità, attende su una spiaggia bagnata dal Mar Tirreno, mette le mani avanti per vedere l’orizzonte, si rivolge verso il mare e aspetta che questo padre ritorni».
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