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«Molti non sanno che lo studio pilota sulla dieta mediterranea è stato sviluppato a Nicotera, alla fine degli anni ‘50, dove Ancel Keys e Paul White per due anni hanno studiato la dieta degli abitanti autoctoni, che poi è stata estesa in tutte le corti del Seven country study».
È stato Antonino De Lorenzo, professore di Alimentazione e Nutrizione umana all’università Tor Vergata di Roma – intervenuto al convegno de ‘La settimana del protagonismo della Calabria’ a Expo– a trattare l’esegesi del più noto regime alimentare al mondo, la dieta mediterranea, «uno studio che dura da cinquant’anni ed è continuamente in essere, e significa principalmente avere un’aderenza a un particolare stile di vita di cui l’alimentazione è la componente più importante».
De Lorenzo, dunque, ha avuto l’onere e l’onore di relazionare sulle origini storiche della dieta originatisi oltre mezzo secolo fa, proprio nel cuore del Vibonese, dove i ricercatori statunitensi Keys e White, studiando gli abitanti di Nicotera, avevano notato una bassissima incidenza di malattie delle coronarie nonostante l’elevato consumo dei grassi vegetali forniti dall’olio d’oliva. Lo studio portò all’ipotesi che ciò fosse da attribuire al tipo di alimentazione caratteristico di quell’area geografica. «Il recupero di quello studio pilota – ha spiegato ancora De Lorenzo – ci consente oggi di ottenere in maniera definitiva l’indice di adeguatezza a una dieta mediterranea, e alla fine del Seven country study, l’indice di adeguatezza migliore, detto indice ‘Mai’ è risultato essere proprio a Nicotera, con un valore di 7,5». Gli studi di Keys e White, infatti, si basarono sul confronto tra i regimi alimentari di 12mila persone tra i 40 e i 59 anni, provenienti da sette diversi paesi del mondo. Una ricerca meticolosa che portò all’importante deduzione che la mortalità per cardiopatia ischemica è molto più bassa nei Paesi mediterranei.
Insomma, la dieta mediterranea nasce in Calabria, a Nicotera, una teoria confermata ieri anche dall’archeologo Sandro Salvatori, responsabile di una ricerca storico-archeologica sui prodromi delle abitudini alimentari calabre: «L’importanza di questa ricerca – ha spiegato – consiste nell’aver scoperto come tantissimi contenitori anforici, anfore che servivano a trasportare cibi, provenissero dall’area punico-cartaginese e interessassero le coste tirreniche della Sicilia e le coste tirreniche della Calabria». Questo studio è riuscito a risalire a importanti scambi enogastronomici risalenti all’antichità che collocano la Calabria in una posizione centrale rispetto al Mediterraneo tant’è che lo stesso Keys, dopo aver proseguito i suoi studi in altre località italiane come Crevalcore, in Emilia, e Montegiorgio, nelle Marche, rimase a vivere a Pioppi, in Cilento, e morì prossimo ai 100 anni, come testimonianza più fulgida delle sue teorie.
La dieta mediterranea e la Regione Calabria – rappresentata dall’assessore allo Sviluppo economico, Carmen Barbalace – sono, dunque, divenute ieri protagoniste assolute dell’Expo di Milano, in un convegno di prestigio capace di unite ricercatori, storici, antropologi ed esperti dell’alimentazione provenienti dall’Università della Calabria, dall’università Magna Graecia di Catanzaro, dall’università Tor Vergata di Roma, dall’Istituto nazionale per la dieta mediterranea e la nutrigenomica, con i contributi di molti altri atenei, tra i quali quelli di Messina, Milano, Napoli, Udine e Torino, l’università federale di Paranà e quella del West Virginia university. Tutti riuniti per presentare dal palcoscenico di Expo 2015 la storia, poco nota ma molto importante, della Calabria e dei suoi prodotti all’interno della cinquantenaria ricerca scientifica sulla dieta mediterranea, considerata patrimonio immateriale dall’Unesco.
D’altronde, dal 2004, la dieta mediterranea è un modello consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità per contrastare sia obesità che malattie neuro-degenerative. Questa tendenza spinta dall’approccio scientifico può garantire i territori padri di questo modello una nuova risorsa per il futuro, abbinando progresso ma al contempo conservando intatte le tradizioni che, come quella di Nicotera, risultano efficaci sperimentazioni a livello scientifico. In questo senso l’intervento di Luigi Frusciante, docente dell’università di Napoli ed esperto in scienze agrarie: «Quando si mettono insieme prodotti tipici e nuove tecnologie – ha spiegato Frusciante – può sembrare di unire il diavolo e l’acqua santa, invece sono proprio le nuove tecnologie che stanno dimostrando il valore dei prodotti tipici nella dieta mediterranea, proprio per la loro radice molto antica che testimonia un’integrazione perfetta con la terra, così come sono integrati gli agricoltori che ne fanno uso».
Insomma, un percorso quello della dieta mediterranea che è partito alla notte dei tempi e che però si lancia nel futuro più brillante, motivo di orgoglio calabrese e non solo, come non ha mancato di ricordare anche l’assessore Barbalace: «La dieta mediterranea può sicuramente trovare spazio nell’epoca della globalizzazione mantenendo qualcosa che spesso viene definito come ‘glocale’, inteso come globale. Questo concetto – ha concluso – porta con sé tutto quello che è tipico di una regione e di una certa provenienza, e che reca con sé tutta la cultura che c’è alle spalle».
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