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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
I finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Vibo Valentia - coordinati dal procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dai sostituti procuratori Antonio De Bernardo e Pasquale Mandolfino - hanno eseguito, nella mattinata odierna, un provvedimento di sequestro di beni, per un valore complessivo di circa 20 milioni di euro, emesso dal Tribunale di Catanzaro - Seconda Sezione Penale.
Il Tribunale ha accolto quasi integralmente la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti di Giovanni Mancuso, 78enne di Limbadi, noto esponente di spicco dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, presentata dalla Dda, al termine di complessi accertamenti patrimoniali eseguiti dalla Guardia di Finanza. Mancuso è stato ritenuto un soggetto di pericolosità sociale qualificata, avendo il Tribunale di Vibo Valentia applicato a suo carico la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di cinque anni.
Giovanni Mancuso, detto “Billy”, nei primi anni ’60 è stato condannato per reati contro il patrimonio, in materia di falso, porto abusivo di armi, pascolo abusivo, violenza per costringere altri a commettere un reato, oltraggio a pubblico ufficiale, violazioni alla normativa urbanistica ed edilizia e, soprattutto, per un fatto commesso nel 1975, per sequestro di persona a scopo di estorsione. Condanne, queste, che lo hanno costretto a prolungati periodi di detenzione.
La misura di prevenzione patrimoniale applicata ha preso in considerazione, sotto il profilo della pericolosità sociale, i fatti che hanno riguardato l’uomo, relativi al periodo temporale decorrente dal 2004 e, in particolare, quelli che hanno formato oggetto del procedimento penale concluso, il 27 marzo 2013, con l’operazione antimafia “Black Money “, contro il clan Mancuso, coordinata dalla stessa Dda.
Gli accertamenti patrimoniali successivamente svolti dalla Guardia di Finanza, delegata dalla Dda, hanno permesso di ricostruire il vasto patrimonio posseduto da Giovanni Mancuso, individuando numerosi beni, formalmente intestati a lui, alla moglie, ai figli, ai loro congiunti e a un soggetto estraneo alla famiglia, evidenziando una palese sproporzione, ingiustificata, tra il loro valore e i redditi dichiarati dagli acquirenti. La sproporzione è stata ritenuta espressiva dell’utilizzo di proventi illeciti derivanti dalle attività criminali perpetrate da Giovanni Mancuso. Tra i beni individuati e sequestrati, ci sono novantadue terreni, ubicati nei comuni di Limbadi, Nicotera, Rombiolo, Zungri, Drapia e Filandari; sedici fabbricati, di cui due capannoni industriali, ubicati nei comuni di Limbadi, Filandari e Milano (in un caso); nove autoveicoli e un trattore agricolo; due aziende agricole, con sede a Limbadi e due ditte individuali, delle quali una esercente l’attività di stazione di servizio, con sede a Filandari.
La loro individuazione è stata possibile solo al termine di una complessa attività di analisi di informazioni reperite dalle numerose banche dati in uso alla Guardia di Finanza, confrontate con le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria condotte anche sul territorio. L’acquisizione dei beni sequestrati riflette una procedura che soltanto in apparenza rispetta i canoni della legalità e trasparenza, ma che a ben vedere nasconde i meccanismi perversi del metodo mafioso, che inquina il regolare svolgimento delle attività economiche e del libero mercato ed il diritto di proprietà. Molti di questi beni sono stati infatti acquisiti con modalità indicative tipiche dell’agire illecito di Mancuso (ovvero per usucapione o, talvolta, quale verosimile corrispettivo di attività di carattere usuraio), approfittando dello stato di bisogno dei legittimi proprietari e sfruttando la forza del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento alla famiglia Mancuso.
L’acquisto dei terreni per usucapione è un’altra modalità assai frequente in cui si manifesta il potere intimidatorio dei Mancuso che, sfruttando l’egemonia sul proprio territorio, occupano abusivamente i terreni, esercitandovi a titolo gratuito attività agricola, assicurandosi la percezione di contributi pubblici erogati dall’ARCEA e acquistandoli successivamente con il decorso del tempo, sfruttando l’inerzia dei legittimi proprietari, che si guardano bene dall’intentare cause civilistiche, per il timore di subire minacce e ritorsioni.
L’attività investigativa ha consentito di accertare che il modus operandi della famiglia Mancuso è talmente raffinato che, per tentare di eludere le misure di carattere patrimoniale previste dalla normativa antimafia - che richiedono la sperequazione tra il patrimonio posseduto e i redditi dichiarati e le attività economiche esercitate - ricorre all’acquisizione di beni a costo zero, tale da non potere essere considerato ai fini dell’applicazione della misura, che in seguito trasferisce a soggetti appartenenti ad altri familiari, in modo da rendere più complessa e onerosa l’attività investigativa, poiché l’illecita provenienza viene edulcorata dal passare del tempo e mascherata da atti giuridici apparentemente leciti e garantiti persino da notai.
Nel corso delle indagini, i finanzieri hanno ad esempio accertato che il defunto Pasquale Molino (‘27), suocero di Silvana Mancuso, figlia di Giovanni, ha trasferito nel 2014, attraverso un atto testamentario olografo, un cospicuo patrimonio immobiliare di terreni e fabbricati, siti a Limbadi e Nicotera, all’omonimo nipote, classe 1989, figlio di Silvana.
L’atto - reso pubblico da un notaio nel 2016, due anni dopo la morte del nonno paterno, legittimandone così il trasferimento della proprietà a costo zero - è risultato falso poiché scritturato sotto dettatura da una persona diversa dal defunto. Infatti, sono state utilizzate frasi non congruenti con il livello culturale dell’uomo deceduto e ancora di più è stato documentato il trasferimento di immobili di cui il defunto non ha mai avuto il titolo di proprietà, ma che erano intestati a ignare terze persone che hanno disconosciuto l’atto giuridico.
In particolare, il nonno paterno avrebbe trasferito all’omonimo nipote una particella catastale che, nel lontano 1988, con regolare rogito notarile, era stata acquistata da Silvana Mancuso, madre di Pasquale Molino, di 30 anni, destinatario di tutti i beni, senza che mai la donna avesse trasferito la proprietà del terreno, oggetto di donazione testamentaria, al suocero Pasquale Molino.
Le indagini hanno consentito di accertare che Pasquale Molino (classe ’27) altro non era che un prestanome di Giovanni Mancuso, al quale negli anni 60/70 erano stati intestati terreni, che di fatto gestiva il secondo e che quindi con l’atto testamentario sarebbero ritornati nell’effettiva disponibilità e proprietà della famiglia Mancuso, nello specifico di Pasquale Molino (di 30 anni) che rappresenta la terza generazione della dinastia.
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