Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Riceviamo e pubblichiamo:
Se c’è una categoria, dopo quella degli agricoltori, che vorrebbe non sentir parlare più di “problema cinghiali”, è quella degli ambientalisti. E se ce n’è una che ha tutto da guadagnarci, è quella dei cacciatori (il suide ha tanta “ciccia”). Politici a parte, per via dei voti.
Ormai la deriva filovenatoria della Regione Calabria ha superato il ridicolo, vista l’ennesima iniziativa proclamata dalla “Cittadella degli amici dei cacciatori” che prolunga la caccia cosiddetta di selezione al cinghiale, per un altro anno, addirittura fino alle 23.30 (in estate), per cui, entro mezzanotte, tutti a casa, sennò l’incantesimo finisce e le carabine si tramutano in pistole ad acqua.
Con i locali pubblici costretti ancora a chiudere i battenti alle 22, centinaia di persone armate di micidiali fucili, possono circolare liberamente di notte «per tutelare l’incolumità pubblica».
Ma almeno, così assicura la Regione, «saranno abbattuti 11mila cinghiali» forti del fatto, come dice l’ISPRA, che «si è avuto un incremento del 61% negli abbattimenti rispetto all’anno precedente», e cioè 2377 capi rispetto a 1480. Arcuri direbbe: «Sono pochi? Sono tanti?».
Si presume che lo sappiano solo l’assessore Gallo e i suoi collaboratori, secondo cui (figuriamoci): «I cinghiali sono in costante aumento». E i rimanenti 7.623 dei 10mila promessi con il vecchio piano, che fine hanno fatto? Perché allora porre dei limiti alla Provvidenza Venatoria? Noi rilanciamo: facciamo trecentomila, un milione di capi da abbattere, e non se ne parla più!
Purtroppo, è lo stesso ISPRA che prova a smorzare un po’ tali ambizioni selettive quando invita la Regione a valutare «la reale conseguibilità» dell’obiettivo ed «eventualmente rivederne l’entità in un’ottica adattativa».
Pensate che pretesa miracolosa: qualche centinaio di “selettori” dovrebbero abbattere quasi il doppio di tutti i cinghiali uccisi in una stagione con le braccate (6.059 nell’annata 2016/17). Neanche con la benedizione di Sant’ Uberto protettore. E non si tiri in ballo il coprifuoco, perché le varie “autorizzazioni” regionali hanno permesso comunque il prosieguo dell’attività venatoria, anche in orari notturni. Lacci e bracconaggio a parte. Quando poi, come sempre, il miracolo non si sarà concretizzato, si autorizzeranno nuovi “selettori” e si continuerà a ripetere all’infinito che i cinghiali sono in aumento, senza che nessuno mai abbia risposto alle domande che riproponiamo: se sono in aumento si deve dire quanti erano prima rispetto a un dopo, chi, dove, quando e con quali mezzi li ha censiti, altrimenti è solo demagogia.
Sarebbe opportuno invece sapere quanti e quali danni subiti dagli agricoltori sono stati effettivamente accertati e certificati, con quali procedure standardizzate e da chi. Quanti e quali metodi ecologici e di prevenzione, dai chiusini, alle recinzioni elettriche, sono stati finanziati e utilizzati dagli agricoltori per ridurre la presenza degli ungulati e i danni che certamente provocano, ma che vanno, oltre che prevenuti, monitorati e quantificati.
Al di là delle deliranti indicazioni numeriche che lasciano il tempo che trovano, ormai è chiaro a tutti che il cinghiale serve per fare andare a caccia più gente possibile praticamente tutto l’anno, perché così vuole la Regione, in un eterno circolo vizioso fatto di numeri sparati a caso e provvedimenti ripetitivi.
Ma non è tutto: rispetto alla raccomandazione dell’ISPRA di prevedere «un’adeguata vigilanza sulla corretta conduzione della caccia», quanti reparti speciali di carabinieri forestali, polizia di Stato, Guardia di finanza, la Regione pensa che saranno impegnati in attività notturne di controllo sparsi, per valli e boschi della Calabria? Vedremo squadroni di “Cacciatori di Calabria” che, anziché stanare i latitanti, si dedicheranno ai controlli dei cacciatori calabresi con gli infrarossi?
Chiediamo all’Ordine dei veterinari, finora silente, di esprimersi in merito al problema dei controlli igienico-sanitari (rigorosi quando si tratta di prodotti per la vendita al dettaglio), su animali pesanti decine e decine di chili, abbattuti e magari eviscerati di notte, o talvolta neanche recuperati e quindi con il rischio di carcasse lasciate a marcire nelle campagne con la possibilità di diffusione di malattie. Come lo stesso virus della Peste Suina Africana che, come ricorda l’ISPRA, «sopravvive anche alla completa decomposizione dell’ospite» e per la cui prevenzione la normativa (Decreto Legislativo n.54/2004) prevede «la disinfezione delle attrezzature, dei veicoli e dei trofei prima di lasciare l’area di caccia, l’eviscerazione delle carcasse nelle strutture designate, evitando i contatti con i maiali domestici dopo aver cacciato».
Ci rivolgiamo alle stesse associazioni agricole affinché, nell’interesse dei loro associati, uniche vittime di questa scellerata cattiva gestione venatoria, adottino un atteggiamento diverso rispetto alla problematica, in considerazione del fatto che la caccia ha dimostrato di non essere la soluzione al problema, ma la causa, per il semplice motivo che l’eliminazione del cinghiale porterebbe all’estinzione del cacciatore e ciò che danneggia gli uni favorisce gli altri. A meno che non ci si accontenti di rileggere la cantilena, dopo dodici anni, di miracolosi “piani di contenimento” per cinghiali sempre incontenibili. Per concludere: che fine ha fatto la cosiddetta “etica del cacciatore” che aveva “in orrore” gli abbattimenti a gennaio per evitare di trovarsi con i feti già formati nell’utero delle scrofe incinte e squartate, mentre adesso si assiste alla corsa a diventare selettori? Forse che la filosofia della serie: “se vanno gli altri, perché io no?” ha convinto a mettere da parte tanti scrupoli di coscienza e considerare la morte dei lattonzoli per fame, dopo quella della madre, meno immorale di quella dei feti ancora nella sua pancia?
WWF Calabria
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