Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Storie di vite strappate. Storie, come queste, di un diciannovenne ucciso per sbaglio da mano (ancora) ignota. Si, perchè in Calabria sui muore anche così. Per errore. Storie come quelle di Filippo Ceravolo e di tante altre vittime innocenti della criminalità organizzata. Il 25 ottobre 2012, ormai, sarà ricordato a lungo dai familiari di Filippo. Da quel giorno tutto è cambiato. Nulla è come prima. In casa si avverte la mancanza di un ragazzo buono, sempre con il sorriso sulle labbra. Un dolore incommensurabile. Filippo è stato ucciso la sera di giovedì 25 ottobre 2012, nella strada che collega Soriano a Pizzoni. Probabilmente i sicari non lo volevano uccidere. L’obiettivo, infatti, non era Filippo ma chi viaggiava assieme a lui. In poche ore, il giovane sfegatato tifoso della Juve si spegne all’ospedale ‘Jazzolino’ di Vibo, dietro il dolore straziante dei familiari. Filippo era un ragazzo perbene. Nessun precedente penale alle spalle.
“Lu Siettu”. La seduta. In ogni paese, e nel meridione la cosa diventa quasi obbligatoria, c’è un angolo del centro storico eletto dagli anziani indigeni a punto di ritrovo quotidiano. Le facce e i personaggi, in una sorta di equazione che si ripete anche in luoghi molto diversi, sono quasi sempre uguali, e se anche non vi fossero somiglianze somatiche tra i vari personaggi, certamente le assonanze caratteriali, le similitudini antropologiche, aumentano in modo esponenziale. L’impiegato comunale in pensione, l’operaio che ha perso la giornata di lavoro causa maltempo, l’emigrato di ritorno che racconta delle sue avventure e del suo “Klondike”, chi ancora non ha mai lavorato e fa l’opinionista di paese come attività prediletta.
Insomma un paese, una micro comunità come tante in Calabria. Lu “siettu” di Mormanno ha una storia. Un muro che costeggia un lato di una chiesa dalla facciata barocca dove gli elementi e i fregi in pietra locale la fanno da padrone. Questo muro era stato preso “di mira” dai commercianti del vicino paese, Laino Borgo, che arrivavano due volte a settimana in quel di Mormanno ad offrire i loro prodotti in cambio di denaro, oppure ancora barattando le proprie mercanzie con altri prodotti dei mormannesi.
19 maggio, 8 meno 20 del mattino. Esplode Brindisi. L’atrio di una scuola, all’arrivo di pullman e pendolari, viene sfregiato da una bomba pensata per uccidere, non per esibire i muscoli. Una bomba che flagella una ragazza, Melissa Bassi, 16 anni e ne ferisce altre 5. Una nazione sotto choc. È la prima strage che colpisce il fresco carico di futuro e gioventù che popola una scuola. Ed è un pugno allo stomaco, perché improvvisamente tutte le nostre scuole possono essere la Morvillo Falcone, tutte le nostre figlie possono essere Melissa. Ovunque incombe l’ombra nera della bomba. Perciò c’è chi spera che ce ne staremo in silenzio e accetteremo tutto e forse anche di più.
Sono tempi senza Dio, penserebbe chi ci crede. Aggrediti da una crisi politica, finanziaria e morale. Al limite della sopravvivenza civile. La diseconomia che avanza. La disperazione che si allarga come una macchia d’unto. Il Palazzo arroccato a difesa dei suoi privilegi. I partiti che evaporano. Le elezioni che ci raccontano di una netta supremazia dei movimenti che arrivano dal basso e stravolgono i progetti delle stanze dei bottoni. I territori in tumulto. Le proteste. I forconi. I no tav. “Concidenze” che hanno sempre trovato una strage di Stato pronta a zittire ogni opposizione. Ogni rivolta. Una strategia della tensione firmata politica, finanza e servizi segreti. Uno stato di polizia legittimato dal terrore. Il terrore che riduce gli spazi alla democrazia e al confronto. Come per dire fate i bravi e state muti. Perché è la paura che rende muti. La paura di aver oltrepassato una boa in mare aperto oltre la quale niente è più sicuro. Un punto di non ritorno. Gli studenti di Brindisi come i contadini di Portella della Ginestra. Come i morti di Piazza Fontana o della Questura a Milano, del treno che deraglia sui binari minati a Gioia Tauro nel ’70, di Piazza della Loggia a Brescia o del treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro nel ’74 e poi 10 anni dopo sul rapido 904. Della strage di Bologna e di quella di Ustica.
10 giorni dopo la gambizzazione del dirigente d’Equitalia, con tanto di volantino di rivendicazione brigatista allegato, Brindisi segna il ritorno di un progetto che rispunta ogni volta che ce n’è bisogno. Anni torbidi in Italia. Le cose si fanno difficili, la crisi economica e politica avanza e ritorna la paura, le bombe ed i morti. Un progetto che abbiamo già conosciuto e non ci inganna. Velato sotto un’ignobile sfregio alla vita e alla cultura. Ad una scuola intestata ad un magistrato donna, Francesca Morvillo Falcone, uccisa il 19 maggio 2012 per la seconda volta con una bomba capace di macchiare di sangue vite, zainetti e diari.
Per soffocare ogni dubbio o si cattura velocemente l’attentatore di Brindisi, il nuovo Una Bomber col telecomando in mano, ammesso che ci sia, oppure prepariamoci all’ennesimo processo lungo un quarto di secolo, dove alla fine, guarda caso, i colpevoli non esistono.
Riceviamo e pubblichiamo:
CHIARAVALLE – Vola alto la quindicesima stagione teatrale dell’Associazione “Tempo nuovo”, registrando di volta in volta una partecipazione più che lusinghiera ed entusiastica del pubblico. Il prossimo appuntamento è per sabato 24 marzo alle ore 21, presso il teatro “Impero”, con “Kvetch” di Steven Berkoff, un’interessante e intensa commedia, per divertirsi riflettendo sulle debolezze umane. Lo spettacolo con la regia di Tiziano Panici, vedrà in scena: Ivan Zerbinati, Laura Bussani, Simone Luglio e Federico Giani. “Kvetch” in ebraico significa “piagnistei”. Steven Berkoff dipinge in modo caustico e graffiante un apparentemente normale quadretto familiare. Come spiegato dall’autore, la pièce è dedicata a chi ha paura, ossia a tutti. Oggi abbiamo paura degli uomini, delle donne, delle guerre, della morte, delle malattie, della disoccupazione e delle bollette da pagare. Abbiamo paura di ingrassare, di essere stupidi, di non capire una barzelletta, di fallire. La commedia è costruita su una geometria precisa, che non lascia scampo: i dialoghi, specchio di una scialba quotidianità, sono continuamente interrotti dai pensieri dei personaggi e dei loro monologhi interiori, generano nel pubblico una sorta di spaesamento, rivelando quello che è il messaggio più forte del testo:
il valore del coraggio si misura in un momento, nell’attimo di una scelta. Anche il valore di un uomo si misura su quel tempo.
Per info sull’attività di “Tempo nuovo” si può chiamare al numero 0967/92186, consultare il profilo facebook, scrivere all’indirizzo associazionetempoQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., o visitare il sito www.teatrotemponuovo.it.
di Dante il Sapiente
Temp’era dal principio del mattino,
la pan montava ’n sù la dolce vita
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle minne belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
mu stiru puru jio su quella pelle
all’ora del tè a la dolce pensione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una leda, che di tutte brame
sembiava barca ne la sua grassezza,
e molte genti fé già viver grame,
questi mi spara tanti di vajiani
con la paura ch’avia mu paga a vista,
ch’io perdei la speranza dei denari.
E invece lei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che quando arriva il sald piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
lo dipignava là dove l'etr tace.
Mentre ch’i’ rovinava in santu ruocco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
di Dante il Sapiente
Canto primo
Nel mezzo del cammin di nostra vita
ci ritrovammo in culo il pidielle,
ché la "sinistra" via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta pena selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar di quello ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
com'arrivai in quello municipio,
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè di San Brun giunto,
là dove terminava quel corso
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le mie palle
gonfiate già quanto un pianeta
le palle mie e tutte l'altre palle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor dell'Alaco a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e inquinata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar il bossol
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
chi mi cacai per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erba,
una canna leggera e presta molto,
che di pel russiciedhi era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ pimmu mi ripigghjiu stetti molto.
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