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«Adduluratari prisintusi/Addoloratari presuntuosi». Al di là dell’utilizzo ingiurioso (ma che in fondo maschera anche un po’ di invidia), in questo attributo con cui i serresi riconoscono i confratelli dell’Addolorata si cela tutto il prestigio dell’omonima congrega e della sua chiesa. In un articolo apparso su “Il Tempo” il 7 dicembre 1960, a firma di Sharo Gambino (presente nell’archivio donato al Comune e fruibile nella biblioteca), si evince che prerequisito fondamentale (dicono alcuni) per l’autentico serrese è essere iscritto all’Arciconfraternita di Maria SS. dei Sette Dolori. E può darsi che sia stato proprio quel prefisso “arci” a “mettere il pennacchio” per la prima volta sul capo dei confratelli dell’Addolorata. Un prefisso che, secondo Gambino, «fu il Borbone a decretare alla congrega». Un “battesimo” che dà ancora più lustro a una confraternita già paga di risiedere nella chiesa più bella della cittadina della Certosa.
Perché la chiesa Addolorata è uno scrigno di opere che prima del terremoto del 1783 appartenevano alla Certosa, seppur tante cose sono state portate via e tra queste Gambino cita impropriamente anche il trittico del Gagini che si trova nel Duomo di Vibo, sebbene lo stesso non sia mai stato a Serra. Quelli rubati sono invece dei bronzi dorati del Fanzago, facenti parte dell’altare maggiore che si trova nell’Addolorata, utilizzati poi come decorazione proprio del trittico del Gagini nel famoso “Altare Pignatelli” del Duomo di San Leoluca.
Ad ogni modo, per quello scrigno che è sempre stata la chiesa dell’Addolorata di Serra, proprio nel periodo in cui l’illustre scrittore racconta, il priore Bruno Principe ha deciso di commissionare all’artista Giuseppe Maria Pisani un portale che fosse degno di quella chiesa «un’opera – è l’occhiello de Il Tempo – da incastonare come una gemma in una corona». Il disegno dell’artista non si è fatto attendere e illustrando gli episodi dei sette dolori di Maria presenta al priore quell’ambiziosa e raffinata opera, che avrebbe fatto da degno sigillo al tesoro della chiesa Addolorata. Un’opera dal costo di 4 milioni di lire che non impensierì affatto il priore, sicuro del supporto che avrebbe ricevuto da parte della Provincia ma soprattutto degli emigrati serresi in America.
IL CAPOLAVORO CHE PARLA DEI SETTE DOLORI Forse anche il Ghiberti e il Brunelleschi, competitor nel concorso per la porta del Battistero di Firenze, sarebbero rimasti entusiasti del capolavoro tecnico-artistico del Pisani. La struttura in basso rilievo, fusa in bronzo (alta tre metri e ottanta e larga due metri e cinque) racconta le vicende della sacra famiglia riconosciute come i “Sette dolori di Maria”. In alto a sinistra si parte con la “Presentazione di Gesù al tempio” ossia la profezia di Simeone alla Madonna: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”, chiaro riferimento alla morte di Gesù. Subito sotto “La fuga in Egitto” e poi in basso sempre a sinistra “La perdita di Gesù nel tempio” (La disputa coi dottori). In alto a destra “L’incontro di Maria e Gesù durante la via crucis”, sotto “Maria ai piedi della croce” e in basso sempre a destra “Maria che assiste alla sepoltura di Gesù”. In un cerchio al centro spostato verso l’alto, che interrompe due linee perpendicolari rappresentanti anch’esse la croce nell’intero complesso, i volti di Maria e Gesù durante “La deposizione”.
Delle scene Gambino descrive con maggiore enfasi proprio quella della crocifissione: «Ci pare doveroso spendere una parola in più per esso. È indubitabile che Giuseppe Maria Pisani abbia, nella crocifissione, raggiunto contemporaneamente due scopi: l’intensa drammaticità ed una modernità assai fresca, senza per altro allontanarsi in maniera sensibile dal complesso e correre il rischio di romperne l’equilibrio stilistico: un lampo, tra la densa nuvolaglia, illumina il Cristo pendente, senza più vita, dalla croce alla quale due figure sono disperatamente abbarbicate, quasi vogliano contenderla al vento che la piega fino a terra nell’intento di sradicarla a portarla via da quella indegna terra di deicidi; un morto resuscitato si ripara il viso dalla folgore, un cavallo è colto nell’atto in cui stramazza a terra col suo cavaliere. Tutto il dramma, dunque, della morte del Cristo e gli sconvolgimenti che la seguirono, descritti con una essenzialità davvero rara». [Continua dopo la foto].
Un disegno preparatorio e la sua traduzione in gesso custoditi dalla famiglia Pisani
OPERA PIÙ IMPORTANTE? I disegni originari del portale sono conservati ancora dalla famiglia Pisani. A fornirci notizie sulla straordinaria opera è stato il professore Domenico Pisani, storico dell’arte e figlio dell’artista Giuseppe Maria. Partendo proprio da quei disegni Domenico Pisani ha raccontato al Vizzarro come gli stessi siano cambiati prima dell’idea definitiva, passando da uno stile classico a uno moderno al fine di calare maggiormente l’opera nel suo tempo. Per comprendere i passaggi tecnici il figlio dell’artista ha descritto come dai disegni Giuseppe Maria Pisani avesse realizzato le forme in creta, tradotte in gesso da Domenico Barillari (conosciuto a Serra col soprannome di “Ficandianu”). La fusione in bronzo si ha invece previa tecnica della fusione a cera persa. «Mio padre – ha detto Domenico Pisani – è stata sempre una persona umile e modesta e quando arrivarono i pannelli a Serra qualcuno gli disse: “Hai dimenticato di firmarli”. Oggi penso ad alcuni artisti che prima firmano la tela e poi fanno il dipinto. Comunque, convinto a lasciare la sua firma, sono state applicate poi delle targhette».
Un artista umile e modesto, che probabilmente con il suo lavoro ha ispirato tanti altri in Calabria, dato che agli inizi degli anni 60, ad opera completa, quello dell’Addolorata di Serra era il primo e unico portale in bronzo e in bassorilievo realizzato a livello regionale. Sono state raccontate le scene dei sette dolori di Maria ma, alla base dell’opera esistono due ovali schiacciati. Segni che rappresentano la continuità architettonica con la stessa facciata della chiesa, dove il celebre architetto Biagio Scaramuzzino ne ha lasciati quattro, due al lato sinistro e due al lato destro. «C’è un altro aneddoto simbolico nel portale di mio padre – ha detto ancora Domenico Pisani – che non conoscevo e mi è stato raccontato da Don Leonardo Calabretta come una trovata geniale, ossia la separazione e il ricongiungimento del divino con l’umano. Nel momento in cui il portale si apre completamente – non solo le due ante al di sotto della parte superiore – i volti della "deposizione" si staccano e Cristo così si riallontana da sua madre. Come detto dal parroco, che di mio padre era un caro amico, “il Cristo è la divinità, altro e diverso dall’umano. Maria è l’umanità che con l’incarnazione ha ricevuto nel suo seno la divinità”».
Infine, alla domanda se questa fosse l’opera più importante di Giuseppe Maria, Domenico Pisani ha risposto: «Se dovessi scegliere direi che, dal punto di vista architettonico, l’opera più bella è la scalinata del santuario di Santa Maria del Bosco per l’imponenza e l’importanza che ne diviene da quel contesto. Dopo c’è sicuramente il portale in bronzo della chiesa Addolorata».
Addoloratari presuntuosi dunque, ma a ragion veduta!
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