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“Detto tra noi”, programma in onda su Radio Serra ogni giovedì, ha dedicato uno speciale alla comunità di Nardodipace, partendo dal sempre presente argomento Covid fino ad arrivare ai libri, ossia a “Sole nero a Malifà” di Sharo Gambino. Dopo l’intervento del vicesindaco Samuele Maiolo (qui l’articolo), che ha affrontato i ritardi della Sanità di seguito al focolaio di Coronavirus verificatosi a Nardodipace nelle scorse settimane, a prendere la parola ai microfoni di Daniela Maiolo e Sergio Pelaia (regia di Bruno Iozzo) è stato il fotoreporter serrese Salvatore Federico, che con la “sua” Nardodipace ha creato negli anni non solo un rapporto professionale ma anche di affetto. Il suo modo di raccontare Nardodipace fa trasparire l’essenza degli uomini e delle tradizioni ma pone un accento critico anche sui problemi di un paese molto spesso dimenticato.
Federico, nonostante preferisca le immagini alle parole per raccontare le sue storie, ponendosi dall’altra parte dell’obiettivo ha parlato del suo approccio letterario con il libro di Sharo Gambino “Sole nero a Malifà” (ambientato proprio a Nardodipace) per poi passare all’approccio sociale con i membri della comunità immortalati dalla sua macchina fotografica. «Il mio interesse verso Nardodipace non è nato per caso ma è stato ricercato. Leggendo “Sole nero a Malifà” – ha raccontato il fotografo serrese – ho coltivato un’attenzione maggiore rispetto a quella che avevo prima, anche perché io frequentavo già quei luoghi. Con Nardodipace ho cercato di vivere un passato che non conoscevo, la condizione agro-pastorale di parte della comunità. Nelle mie intenzioni cercavo, dunque, di documentare questo tipo di vita. Poi, casualmente, facendo delle ricerche mi sono imbattuto nel capolavoro di Sharo Gambino, “Sole nero a Malifà”. Da lì mi sono intestardito nell’affrontare questa avventura». Un’avventura che gli ha permesso di conoscere le persone di quella vita agro-pastorale non relegata al passato ma ancora viva e vegeta, lontana dai rumori della contemporaneità e dallo sfruttamento intensivo. «In realtà volevo arrivare – ha spiegato Federico – a conoscere il protagonista del romanzo, ovvero Gesuino, l’ispiratore di “Sole nero a Malifà”. All’inizio non è stato facile e mi sono dedicato a documentare i luoghi. Pian piano ho fatto la conoscenza di Gesuino, che in realtà si chiama Cosimo, grazie anche all’unico rappresentante istituzionale presente nella frazione di Cassari, perché è lì che vive Cosimo a cui però piace specificare le sue origini di Ragonà, altra frazione del comune. Conoscendo Cosimo in realtà ho conosciuto Nardodipace, perché, sempre dal mio punto di vista, la sua figura rappresenta la vita passata ma anche presente di questi luoghi. Vivendo la quotidianità, anche attraverso le lunghe passeggiate in montagna, sono riuscito a documentare la sua vita ma anche il contesto, il legame con la terra e tutte le difficoltà che derivano da un determinato ambiente».
Addentrandosi sempre di più nel suo studio, Salvatore Federico ha sottolineato come l’attualità non concepisca più certi stili di vita proscritti oramai all’oblio, legati a luoghi in cui il solo abitarci appare come una scelta estrema. «In un contesto sociale attuale – ha spiegato ancora il fotografo serrese – il solo vivere in frazioni come Cassari o Ragonà può considerarsi estremo. Parlo senza nessun pregiudizio, perché io amo quei posti e la loro tranquillità, ma anche senza negare che le condizioni di vita sono difficili. Basti pensare alla viabilità. I bambini di Ragonà per andare a scuola percorrono un sacco di chilometri in quelle che chiamano strade ma sono mulattiere con un poco di asfalto. Dunque già il solo vivere lì, a mio avviso, è una forma di resistenza».
Cercando poi di risalire alle responsabilità di chi ha fatto sì che quei luoghi permanessero nel tempo in una situazione di abbandono, Federico ha continuato: «La comunità naturalmente non ha colpe se non quella di aver creduto ai politici di turno, che si fanno vivi solo durante il periodo elettorale, come del resto si evince pure in “Sole nero a Malifà”. La rassegnazione è un sentimento comune. Ma in fondo lo è per tutti i calabresi e gli ultimi eventi legati all’emergenza sanitaria lo hanno dimostrato».
La storia che si ripete dunque, che ha bisogno di essere raccontata lontano dai pregiudizi, senza essere mitizzata ed entrando in empatia con le persone per non fornire un’immagine falsata delle cose. Un contesto non immune dal fenomeno migratorio e che sembra suggerirci che le pagine di Gambino siano state scritte oggi piuttosto che in quel lontano 1965, anno in cui fu pubblicato il romanzo.
Il reportage su Nardodipace realizzato dal fotografo Salvatore Federico, dal titolo “Le dimore dell’assenza”, è consultabile sul sito www.salvatorefederico.eu.
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