Presenti all'incontro con i giornalisti il procuratore Bruno Giordano, il pm Filomena Alberti, il capitano della Compagnia carabinieri di Serra San Bruno, Mattia Ivano Losciale e il comandante del Nucleo operativo, Massimiliano Staglianò.
«Si è trattato di indagini particolari – ha detto in apertura il procuratore Giordano – perchè grazie ai tabulati telefonici e alle chat di Whatsapp siamo riusciti in qualche modo a smantellare questa rete. In tanti oggi cercano di arricchirsi attraverso lo stupefacente, piuttosto che ricorrere ai metodi che la legge mette in campo. Mi preme in ogni caso sottolineare il prezioso lavoro dei carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno ai quali va il mio plauso, che ci ha permesso di avere un quadro abbastanza completo ed esaustivo della situazione. Il lavoro, in ogni caso, non si ferma qui: visto il periodo, infatti, stiamo cercando di passare al setaccio anche tutta la zona della costa». Determinanti sono stati anche i messaggi su Whatsapp e i selfie che gli stessi indagati si scattavano in determinate circostanze. Il pm Aliberti, invece, ha voluto precisare che, in tutto questo, «i clan della 'ndrangheta non c'entrano nulla». «Dall'arresto di Davide Tassone, avvenuto a Serra San Bruno nel 2015, abbiamo sequestrato diversi telefoni cellulari, tramite i quali - ha aggiunto la pm - siamo arrivati all'operazione di oggi. Dalle immagini di Whatsapp si vede chiaramente del denaro e la sostanza stupefacente. In alcuni casi, inoltre, i pagamenti avvenivano anche attraverso la ricarica di carte Postepay. In tutto questo non c'è una struttura verticistica. L'approvvigionamento avveniva da varie zone, in particolare il Serrese e il Soveratese». Per Losciale, infine, «il sequestro del cellulare di Tassone è stato fondamentale per l'indagine».
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