Domenica, 01 Maggio 2016 10:55

Il Primo maggio della Calabria, tra disoccupazione e precarietà cronica

Scritto da Bruno Greco
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Foto "Rai Storia" Foto "Rai Storia"

Mitico “Primo maggio!” non è sicuramente un’esultanza riconducibile al significato contemporaneo. Si tratta piuttosto di un’accezione letterale che rimanda proprio all’ambito del “mito” inteso nella sua concezione più classica. Perché cos’è diventato oggi il “Primo maggio” se non una bella storia da raccontare, quasi come una favola o una leggenda?

Cruccio della giornata odierna è che la festa dei lavoratori sia capitata proprio di domenica, dunque i pochi fortunati occupati calabresi potranno godersi sì il meritato riposo settimanale, con il rammarico però nei confronti di un ponte mancato. Ma proprio tutti potranno godersi il riposo? Certo che no. In realtà al giorno d’oggi esistono strategie aziendali (simil schiavitù) di fronte alle quali anche un redivivo Stachanov in perfetta forma potrebbe rabbrividire. L’attività dei supermercarti, dei negozi di abbigliamento grandi firme, dei centri commerciali non si fermerà neanche il "Primo maggio" (a parte qualche titolare pazzo fedele alle tradizioni). In Calabria dunque, a festeggiare veramente saranno proprio in pochi. Perché la maggior parte tra chi vanta un’assunzione dovrà lavorare, il resto – popolo “spendaccione” in questo giorno – sarà invece quello dei disoccupati e inoccupati.

DISOCCUPAZIONE, UN PRIMATO TUTTO CALABRESE Fregiarsi di un primato è sempre bene e anche quest’anno la Calabria non fa sconti a nessuno e si classifica in cima alle regioni italiane con il tasso più alto di disoccupazione (dati Eurostat). Col 22,9% (la media Ue è del 9,4% e quella nazionale dell'11,9%) i calabresi sono coloro che stanno più a spasso degli altri. La provincia di Vibo stabile oltre il 20% cammina quasi di pari passo col dato regionale (vedi in fondo il dato Urbistat). Molto più preoccupante il dato giovanile della regione (15-24 anni) che vede ancora la Calabria come territorio capofila con numeri che toccano il 65,1%. Un primato che sarebbe anche europeo se non fosse per le regioni spagnole in terra africana, ossia Ceuta e Melilla, dove la disoccupazione giovanile è rispettivamente al 79,2 e 72%. Ma data la loro natura di enclave anche in questo caso il primo posto in Europa può dirsi tutto calabrese.

fonte Eurostat

 

I numeri in ogni caso, nonostante la situazione disastrosa della regione, in qualsiasi modo li si legga riportano sempre e comunque una situazione migliore di quella reale. Restando in tema di disoccupazione giovanile, quel 65,1% rappresenta nella realtà un dato falsato se non nella forma quanto meno nella sostanza. La domanda giusta da porsi sarebbe: quanti sono i giovani che possono vantare un’occupazione a tempo indeterminato (oggi a tutele crescenti)? Il vero dato sta proprio in questo. Perché l’orda di giovani lavoratori che occupano sempre di più i call center o usufruiscono in altri posti di “contratti a progetto”, non compaiono nella percentuale dei disoccupati redatta da Eurostat. La verità è che la discriminante tra loro e chi non lavora riguarda veramente pochi spiccioli. Il divario in alcuni casi è insignificante. Con i loro “stipendi” da fame (buste paga sotto i 300 euro) i giovani calabresi relegati al “contratto a progetto”, o contrattazione simile, possono chiamarsi i “quasi disoccupati”, che non fanno cattiva statistica solo per una mera formalità. Formalità lungi, in realtà, dal rappresentate un vero e proprio posto di lavoro. Carta straccia che non tutela il lavoratore e prevede una misera contribuzione (Gestione separata) che tra l’altro va a rimpinguare le tasche dei pensionati d’oro. D’altronde, con un’aspettativa di vita di 80 anni e la presunta pensione all’età di 75, questi giovani lavoratori non fanno altro che pagare una “tangente” allo Stato che continua a prendersi in gioco di loro.  

Viene da sé che la situazione in realtà è completamente diversa e che quel 65,1% potrebbe benissimo essere più alto di molto. Alla disoccupazione qui si aggiunge un disagio sociale creato dallo stesso “mondo del lavoro”, che tiene i giovani ostaggio di un pezzo di pane e senza nessuna tutela o prospettiva per il futuro.

Ma dopo tutto oggi è festa, è un giorno di “riposo”. A queste cose è meglio pensarci domani. Evviva il Primo maggio, evviva la festa dei lavoratori! 

fonte Urbistat

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