I ricorrenti hanno, dunque, ottenuto l’annullamento del commissariamento dell'amministrazione comunale che era stato deciso con decreto del presidente della Repubblica il 12 agosto 2016 per infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dell'ente. Secondo quanto riportato dal Corriere della Calabria, la decisione – sostengono gli avvocati Gualtieri e Verbaro – avrebbe trovato fondamento nel fatto che non sarebbero sussistiti «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata». I due legali hanno inoltre spiegato come «il provvedimento, oltre a non indicare in maniera puntuale condizionamenti e collusioni determinanti l’alterazione del procedimento di formazione della volontà dell’ente, degli organi elettivi ed il pregiudizio alla sicurezza pubblica, non terrebbe in alcun conto l’intensa attività della giunta per contrastare il fenomeno mafioso».
La Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell'Interno si erano costituiti a loro volta in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso presentato dai tre ex amministratori tropeani, giudicandolo infondato, ma il Tar del Lazio ha invece, per effetto, annullato il provvedimento di scioglimento.
La Commissione di accesso agli atti si era insediata a Tropea nell’ottobre 2015, chiamata a fare chiarezza rispetto alle modalità di gestione dell’ente e sulla scorta di presunti collegamenti fra alcuni candidati alle elezioni del 2014, citati nelle inchieste “Black money” e “Peter Pan” contro i clan Mancuso di Limbadi e La Rosa di Tropea.
Dopo sei mesi di attività ispettiva, la stessa Commissione aveva chiuso i lavori stilando una relazione, indirizzata all’allora Prefetto di Vibo Valentia, Carmelo Casabona, in cui si parlava di «accordi pre-elettorali» ritenuti «decisivi» per l'elezione di Rodolico e «maturati alla presenza di soggetti riconducibili alla locale criminalità organizzata», ovvero ai La Rosa e ai Mancuso. Nella relazione inviata dalla Prefettura al Viminale si rilevava inoltre «la sussistenza di rapporti di parentela e/o frequentazione di alcuni amministratori e dipendenti comunali con persone affiliate o collegate alle consorterie criminali». Di conseguenza, l’allora ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nella sua relazione al capo dello Stato, aveva messo nero su bianco che «tali rapporti, consolidatisi nel tempo, hanno prodotto uno sviamento dell'attività amministrativa dell'ente in funzione degli illeciti interessi e delle regole della criminalità organizzata».
Nelle indagini portate avanti dalla Commissione d’accesso erano finiti però anche altri due episodi: l’intimidazione subita nel gennaio del 2015 dall’allora primo cittadino e l’intervista effettuata dalla Rai ad un parente di un noto boss del luogo, tenuta in occasione di una diretta televisiva organizzata su richiesta del Comune per il "tuffo di Capodanno 2015”.