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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
«La mia carriera criminale è iniziata nel 2011, quando ho commesso l’omicidio di Giuseppe Canale, a Reggio Calabria. La conoscenza, invece, ce l’ho avuta nel 2010, non ricordo di preciso, mentre mi trovavo con Salvatore Callea e Diego Zappia, di Oppido Mamertina, il primo che abita a Canino a Roma e il secondo a Oppido. Conoscendo loro, mi hanno proposto di fare questo omicidio a Reggio Calabria e io ho accettato».
A rilasciare queste dichiarazioni al procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel corso dell’interrogatorio che si è svolto il 13 dicembre dello scorso anno è il neo collaboratore di giustizia Nicola Figliuzzi, originario di Sant’Angelo di Gerocarne, al servizio dei clan Patania prima e Loielo poi, gruppi legati al potente boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, ritenuto il vero regista delle sanguinarie faide tra queste due “famiglie” e le cosche rivali dei Piscopisani e degli Emanuele. Le dichiarazioni sono contenute nell’ordinanza di applicazione di tre misure cautelari, disposta dal gip del Tribunale di Reggio Antonino Crupi, nell’ambito del processo per l’omicidio di Giuseppe Canale, avvenuto nella città dello Stretto nel 2011.
Figliuzzi era stato assoldato dai clan reggini per compiere l’omicidio Canale, quando ancora non era neppure affiliato alla ‘ndrangheta. Arrestato a novembre 2017 assieme a Cristian Loielo, Domenico Marcianò, Sergio Iannò, Filippo Giordano e Salvatore Callea, subito dopo ha iniziato a collaborare con la giustizia, fornendo agli inquirenti validi elementi sull’omicidio di Giuseppe Canale.
«Volevano questa vendetta per il fatto che gli avevano ucciso uno zio – raccolta ancora Figliuzzi – credo a Domenico, non a Nino, e quindi volevano questa vendetta e uccidere Giuseppe Canale». «Fecero il nome dello zio che era morto?», è la domanda rivolta a Figliuzzi dal procuratore Lombardo. «Sì, Domenico Chirico – risponde il collaboratore -. All’epoca comandava lui là e poi è stato ucciso e hanno perso parecchi soldi perché sono entrati in possesso altre persone, così dicevano. Gli ho detto se possiamo andare a vedere il posto. Sono salito in macchina con Nino Crupi a bordo della sua Fiat 500. Ci siamo recati presso la strada che scende dal cimitero e porta verso la piazza e mi ha fatto vedere il bar dove è stato poi ucciso…ferito prima e poi inseguito». Proprio in quel bar la vittima era solita giocare a carte. Da qui il recupero di un motorino rubato da un ricettatore straniero, poi il ritorno nei pressi del cimitero. Lì dopo un po’ arriva il via libera: Callea si piazza con l’auto ad aspettare i due killer e loro, ricevuta una descrizione fisica della vittima e del suo abbigliamento, partono a bordo dello scooter.
«Avevo la 9×21 nel marsupio – racconta Figliuzzi - e Loielo aveva la 38 nella tasca». Il neo collaboratore indica quindi la vittima al suo compagno. Loielo scende dal motorino e inizia a sparare, ma il piano non va a buon fine perché Canale rimane ferito solo a una gamba. La vittima scappa, Loielo la rincorre ma finisce i colpi. Così Figliuzzi si dà all’inseguimento in motorino e Canale gli scaglia contro un bidone dell’immondizia. «Io ho buttato il motorino a terra e ho iniziato a sparare. Lui è caduto in mezzo a due macchine. Mi sono avvicinato perché il mio compito era quello là perché loro mi hanno detto che doveva morire. Mi sono avvicinato, ho scaricato la pistola, ho preso di nuovo il motorino e me ne sono tornato indietro». Compiuto l’omicidio, Figliuzzi si reca nel luogo stabilito per bruciare il motorino, prende la bottiglietta di benzina che ha sotto il sellino, ci mette dentro la pistola, poi dà fuoco a tutto e va nel posto in cui lo aspetta Callea. Loielo, invece, fugge a piedi, dopodiché viene recuperato in auto da una delle persone che prima gli avevano impartito le indicazioni per l’omicidio, le stesse che gli avevano già preparato il biglietto del treno per tornare a casa, a Sant’Angelo di Gerocarne. Figliuzzi, invece, è stato portato a casa direttamente da Callea. Il giorno successivo, Figliuzzi e Loielo si mettono d’accordo per andare a riscuotere i soldi.
«Il galletto sta cantando» - Di Nicola Figliuzzi si parla anche in una conversazione che Cristian Loielo ha avuto in carcere il 12 gennaio 2018 con la madre, il compagno convivente di quest’ultima e Ivan Loielo. Il colloquio si concentra perlopiù sui temi già trattati in un precedente incontro. Ivan, infatti, si lamentava delle troppe attenzioni ricevute nell'ultimo periodo da parte delle Forze dell'Ordine, dopodiché l’attenzione passa alla scelta di Figliuzzi di collaborare con la giustizia. Ivan Loielo, secondo quanto si legge nell’ordinanza del gip Antonino Foti, faceva notare al fratello che su varie testate giornalistiche erano state riportate le dichiarazioni rese dal collaboratore, precisando altresì che molte altre però non erano state ancora pubblicate. In una conversazione successiva, la mamma di Cristian Loielo fa riferimento nuovamente alla collaborazione con la giustizia di Figliuzzi: «Il galletto è sull’albero, sta cantando e canta pure bene». Secondo Cristian Loielo, però, Figliuzzi «dice solo cose leggere» ma la donna insiste e afferma che «anche se sono cose leggere gli dà ragione a quegli altri». Il 23 febbraio, durante un’altra conversazione, i dialoganti hanno altresì espresso le proprie riserve circa la possibilità che le loro conversazioni fossero intercettate e sul punto il detenuto si è mostrato certo che i loro dialoghi fossero intercettati tant'è che ha esplicitamente detto: «Vogliono sentire qualcosa ma non c'è niente da dire». Rivolgendosi ai familiari, Cristian Loielo sembra non sentire affatto il peso delle accuse e del fatto di dover trascorrere ancora diverso tempo in carcere: «Vedi di aggiustare casa – dice alla madre – che io altri 20 anni ed esco».
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