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Sarebbero risultate decisive le dichiarazioni rilasciate dal pentito Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone (alias l’“Ingegnere”) nella conclusione della vasta operazione condotta dagli agenti della Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri, che ha consentito di scoprire una filiera della cannabis gestita da alcune articolazioni della potente famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi e Nicotera.
Un business, quello della produzione su scala industriale di marijuana, che avrebbe prodotto un fatturato enorme, quantificato dagli inquirenti in decine di milioni di euro, così come sono migliaia le piante di cannabis che gli uomini del clan, secondo gli inquirenti, controllavano giorno e notte anche mediante l’utilizzo di mezzi tecnologici avanzati. I dettagli dell’operazione portata a termine stamattina verranno resi noti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 10 nei locali della Questura, ma in base alle prime indiscrezioni, la filiera della cannabis gestita da alcune ramificazioni dei Mancuso sarebbe passata anche dal reclutamento di alcuni dei braccianti africani che vivono (anzi, sopravvivono) nelle campagne della Piana di Gioia Tauro.
Nel corso dell´operazione denominata “Giardini segreti”, che ha portato all’arresto di 17 soggetti, altre 21 persone sono state indagate a vario titolo per il reato di associazione a delinquere dedita al narcotraffico e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Inoltre, con la collaborazione delle Squadre Mobili di Alessandria, Brescia, Caltanissetta, Catanzaro, Chieti Genova, Imperia, Lecce, Milano, Napoli, Salerno e Savona si stanno anche effettuando 18 perquisizioni a carico delle sedi di una società, attiva nella vendita online di semi di canapa indiana, nei confronti delle quali verrà anche notificato un provvedimento di sequestro preventivo.
La scelta di Emanuele Mancuso di iniziare a collaborare con la giustizia avrebbe, dunque, iniziato a produrre i primi frutti. E non si tratta di un collaboratore come tutti gli altri, perché fino ad ora all’interno del clan nessuno aveva mai deciso di vuotare il sacco, per passare dall’ “altra parte della barricata”. In carcere dal marzo scorso perché coinvolto in un’operazione contro il clan Soriano di Filandari, storicamente avverso proprio ad alcune articolazioni della consorteria mafiosa di Limbadi, il rampollo del clan si troverebbe oggi detenuto in un carcere del Centro Italia destinato ai collaboratori di giustizia.
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