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Domenica, 09 Maggio 2021 08:56

Andrea Frezza, un gigante (dimenticato) che ha consacrato la sua vita alla bellezza

Scritto da Redazione
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“Così viviamo per dire sempre addio”: i versi di Rainer Maria Rilke sono stati d’ausilio ad Andrea Frezza per il titolo di uno dei suoi libri e in un certo senso evidenziano l’eterno stato di solitudine a cui è costretto l’uomo, sempre alle prese con abbandoni e alla continua ricerca di se stesso. L’oblio è sempre a un passo e il tentativo di non essere risucchiati richiede uno sforzo enorme che tanti figli illustri della Calabria, oggi quasi dimenticati, hanno sopportato. Regista, sceneggiatore, romanziere, intellettuale a tutto tondo. Reggino di origine (Laureana di Borrello) e vibonese di adozione, Frezza ha la sua vena creativa attraverso molteplici arti ed è un dovere per i calabresi riscoprire la sua figura. A “Detto tra noi” (Radio Serra) Antonio Cavallaro, responsabile della comunicazione di Rubbettino, ha consigliato – all’interno della rubrica libri – la lettura del suo “Così viviamo per dire sempre addio”, mettendo in risalto anche la caratura di un autore che merita di essere riscoperto.

«Figlio dimenticato di questa terra – ha detto all’inizio del suo intervento Cavallaro – con il tanto discusso “Il gatto selvaggio” alla fine degli anni '60 ha preconizzato quelli che sarebbero stati gli “anni di piombo”». Una figura quasi profetica, illuminata, saldamente ancorata alla realtà del suo tempo, che ha vissuto gran parte della sua vita negli Usa e durante la sua carriera ha lavorato a stretto contatto con colossi del cinema. «Come aiuto regia – ha continuato Cavallaro – è stato al fianco di Brian De Palma, ha accompagnato Pasolini in Calabria, è stato amico di Moravia e della Morante, tanto per citarne alcuni. Ha trascorso la fine della sua vita a Vibo ma la Calabria non gli ha riservato quanto avrebbe meritato».

Questa regione, invece, ha avuto tanto dal suo figlio illustre, terra sempre presente nei suoi romanzi, come testimonia la trilogia di gialli ambientati nell’amata Vibo, che nei testi cita con l’acronimo Vi.Va a mo’ di spot tipo l’L.A. di Los Angeles. Si tratta dei libri “Albergo paradiso”, “L’assedio dei quaranta inverni” e “La cruna della notte”. «Il suo ricordo di Vibo – ha spiegato ancora Cavallaro – è quello di una città bellissima. Ha consacrato la sua vita alla bellezza e anche i protagonisti di “Così viviamo per dire sempre addio” saranno pronti a sacrificare tutto per la bellezza: ad esempio, una delle giovani donne presenti nel libro si innamora di un soldato che decide di sposare nonostante il giorno dopo dovrà ripartire».

Nel libro, (scritto quando l’autore sapeva già di essere gravemente malato), stando ancora alle parole di Cavallaro c’è tutto il modo in cui Frezza intende la vita. Passando poi alla trama, “Così viviamo per dire sempre addio” parla in larga misura di una famiglia nobile, i Santavelica, le cui vicende si svolgono tra la fine della Seconda guerra e mondiale e gli inizi del Dopoguerra. «Si tratta di una saga familiare ricca di storie e di Storia. Il romanzo comincia con un bambino che, dopo essersi tuffato in acqua, al mare, esce dicendo di vedere il corteo di pellegrini che arrivano in Terra Santa. In questa strana immagine vede un Cavaliere. Si tratta dello zio il quale, dopo aver fatto voto e non potendo partire in pellegrinaggio a causa della guerra, misura su un Atlante la distanza tra casa sua e la Terra Santa e, vestito di armatura, gira intorno alla sua proprietà tante volte quanto è la distanza che lo separa proprio dalla Terra Santa». Attraverso un libro che fa ridere, piangere e sognare si può dunque riscoprire dunque un gigante della cultura calabrese.