Domenica, 11 Febbraio 2024 09:19

Il libro magico e il tesoro perduto. Un omicidio serrese del XIX secolo

Scritto da Tonino Ceravolo*
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La storia, che intreccia cronaca giudiziaria e demologia, è raccontata da Amerigo Seghieri in La Calabria. Rivista di letteratura popolare - pubblicazione già nota ai lettori di questa rubrica - del 15 settembre 1889 ed è una storia dai tratti foschi, che si conclude con un omicidio e con un processo, legata alle tradizioni cosiddette “plutoniche”, raccolte anche da importanti demologi meridionali come Raffaele Lombardi Satriani e Giuseppe Pitrè. Una storia, cioè, di tesori nascosti in spazi sottoterra e che, però, nonostante ogni tentativo di rinvenimento non risultano rintracciabili e sono destinati a rimanere sepolti, lasciando con le mani vuote i loro illusi cercatori. Il processo si tenne davanti alla Corte d’assise di Monteleone e il racconto della vicenda ha inizio da un errore non infrequente di collocazione geografica, che pone Serra e le Serre nella “Sila boscosa”. Partiamo da qui.

Il tesoro di “Timpone del lupo”

“In quella parte della Sila boscosa ch’è vicina a Serra S. Bruno – scrive Seghieri – già noto ricovero di bande brigantesche, era diffusa la credenza che certi masnadieri avessero sotterrato nella contrada detta Timpone del lupo, presso Mongiana, un grosso cumulo di monete e di oggetti preziosi. Quei malfattori, dal primo all'ultimo, sarebbero poi morti o nei conflitti coi soldati, o per fucilazione, o per malattia nelle galere, tantoché con le loro esistenze fu distrutta ogni memoria del luogo preciso in cui quel tesoro fu celato. Si fecero qua e là degli scavi per cercarlo, ma rimasero infruttuosi. Il mistero era divenuto impenetrabile; ma non si dileguava per questo il convincimento che il tesoro ci fosse effettivamente”. Laddove occorre segnalare, oltre all’uso del termine masnadiero, già documentato in Boccaccio, quell’essere considerate le montagne serresi come “noto ricovero di bande brigantesche”, evidentemente a non sopita memoria degli eventi di otto decenni prima quando, durante il decennio francese, gruppi di temibili fuorbanditi imperversarono tra le locali foreste. E poi riprende, cominciando a entrare nel dettaglio della vicenda e non rinunciando a citare i suoi protagonisti con nome e cognome: “Tra i montanari della Sila durano tuttora le superstizioni, e vi si tiene per fermo che dove non possono giungere la forza e l'industria degli uomini arrivano facilmente le arti degli stregoni. Rimaneva dunque un espediente da praticarsi. I più infervorati nella ricerca del tesoro erano certi Salvatore Zaffino, noto col soprannome di Abate, di Serra S. Bruno, il suo compaesano Raffaele Pisani, Rosario Montagnese di Fabrizia, e Antonio Rullo dimorante a Gerocarne. Costoro fecero consiglio sui modi più atti per giungere alla scoperta del tesoro, e, riuscite vane ormai tutte le indagini preordinate a conoscere se per avventura qualcuno fra i briganti avesse fatta qualche rivelazione a parenti od amici, mentre d'altra parte a nulla potevano approdare le gravi fatiche occorrenti per fare dei tentativi con altri scavi […], finirono coll’aderire con piena fede alla proposta che fece uno di loro”.

Lo stregone e il “libro magico”

E la proposta, che riscosse immediato successo, era chiara: affidarsi a uno “stregone”, in modo che questi, consultando il “libro magico”, fornisse un’indicazione certa sul luogo in cui si trovava il tesoro nascosto. Dunque, un libro, come ricettacolo di ben racchiusi segreti, breviario per disvelare misteri, cassaforte da svellere per porsi sulla rotta dei tesori bramati. Ma un libro che, proprio in virtù di questo suo criptico contenuto, aveva bisogno di qualcuno che ne sapesse sciogliere le chiavi cifrate, squadernandone le verità nascoste: “Viveva in Serra S. Bruno un vecchietto chiamato Michele Carnevale, a cui si attribuiva la facoltà di far prodigi col sussidio d'un libro magico da lui posseduto. Pertanto, quei montanari andarono a trovarlo, gli confidarono quanto sapevano sul tesoro, gli esposero i loro desiderii ed intenti, e facendogli larghe promesse di ricompense generose, lo richiesero dell'opera sua. Il Carnevale, anziché sfatare quelle idee strane, le avvalorò col dire che avrebbe esaminato il suo miracoloso volume, ed avrebbe poi riferito loro l'esito dei suoi studii. Né tardò a dichiarare a quegli infanatichiti montanari che riteneva d'essere in grado di poter soddisfare ogni loro desiderio”. 

Alla ricerca del tesoro sepolto: sei gaglioffi e le ciurmerie del Carnevale

Così, rassicurati dalle dichiarazioni di Carnevale (o forse, più probabilmente, Carnovale?), mossero alla caccia del tesoro cercato: “Nel dì 13 Maggio 1886 partivano uniti verso il Timpone del lupo i quattro uomini, in compagnia del Carnevale, che naturalmente portava un libraccio. Recavano picconi e zappe. A loro si univano Giovanni e Luigi Vallelonga. La fortuna era così splendida, che ben si poteva farne parte a questi senza gran danno. Invece di quattro, sarebbero stati sette i futuri Cresi di quelle montagne. Ansioso fu il viaggio; ma lo rallegrava la speranza. Giunsero al sommo del poggio, ed il Carnevale fece alcune delle solite ciurmerie con le quali i furbacci sogliono gettar polvere negli occhi dei gonzi. Appena fu indicato da lui il punto in cui bisognava scavare, i sei gaglioffi presero a lavorare con gran lena. La buca si approfondiva e si allargava, ma non si vedeva luccicare né l'oro né l'argento. Ad ogni modo, la fede fa prodigi. Si continuò pertanto a scavare alacramente … Ma erano vanamente scorse non poche ore, ed alla stanchezza dei corpi si aggiungeva un grave dubbio in quegli uomini grossolani. - Sarà il vero libro magico quello che ha portato lo stregone? C'è egli il pericolo che costui ci abbia ingannati? che, dopo di aver fatto fare a noi queste infruttuose ricerche, venga qui nascostamente co' suoi per pigliarsi tutto? e che noi dobbiamo avere col danno anche le beffe? Ecco i pensieri che cominciarono a ronzare in quegli zotici cervelli. Intanto, un problema si presentava agl'indispettiti montanari. Che cosa bisogna fare adesso per avere il tesoro ad ogni costo? Per gente di quella fatta, il mezzo è presto trovato. Essi cominciano col fare al vecchietto aspri rimproveri e minaccie. Con gli occhi stralunati, lo circondarono dicendogli: «Tu sai bene dov'è sepolto il tesoro. Non ce lo dicesti? E che libraccio hai portato? Bada: se hai lasciato a casa il vero libro magico, c'è sempre un rimedio. Andiamo a prenderlo. Ma se ti sei messo in capo d'ingannarci, ti scanniamo come un agnello. Santo diavolo!». E i pugni chiusi di quegli arrabbiati si avvicinavano al volto esterrefatto del povero Carnevale, che vide anche alzare qualcuno fra gli strumenti dell'inutile lavoro”. Situazione, si potrebbe commentare, pressoché canonica: lo “stregone”, ritenuto truffatore, aggredito dai truffati delusi e inferociti, nonché un libro che, ai loro occhi, non è, evidentemente, il “vero” libro perché, altrimenti, il tesoro sarebbe dovuto saltare fuori. Qualcosa che sembrerebbe quasi una commedia degli equivoci, se non fosse che racchiude un finale tragico. 

Da libro a libro: il codice penale al posto del libro magico

A sospettare che in quella “mala parata” le cose rischiassero di precipitare fu uno dei due Vallelonga, il padre Giovanni, il quale aveva “presentito” che cercando un tesoro si stava, invece, per trovare un processo, con la sostituzione del libro magico con quel “volumetto formidabile” chiamato codice penale, tanto che prese il figlio Luigi e i due si allontanarono da quella comitiva di irritati montanari: “Lì per lì non furono usate sevizie al Carnevale; ma i quattro montanari che rimasero con lui non potevano mandar giù quello che consideravano come un inganno ed insieme come un affronto. Si avviarono con lui, ma erano accigliati, frementi.... Fatto è che ritornarono soli al paese. Ai parenti del Carnevale, che di lui domandarono, risposero: «Ci lasciò a breve distanza del Timpone del lupo, dicendo che voleva andare a vedere i bei lavori fatti a Ferdinandea»: nient' altro. Intanto, Michele Carnevale non ritornò a casa nemmeno nel giorno seguente, e la sua famiglia se ne impensierì grandemente. Crebbero i timori col passare dei giorni; ed allora si ritenne addirittura che fosse stato ucciso dallo Zaffino e da' suoi compagni. I parenti, i carabinieri, le guardie forestali ed alcuni cacciatori non cessarono di arrampicarsi su per gli aspri gioghi della Sila, seguirono il letto dei torrenti, discesero nei profondi burroni, penetrarono nei boschi, guardarono e rovistarono dovunque.... Invano, sempre invano! Nessuno aveva veduto né vivo né morto il povero Carnevale, dopo che i Vallelonga lo videro avviarsi coi cercatori del tesoro, ed era oramai perduta la speranza di ritrovarlo. Soltanto nel dì 3 luglio fu rinvenuto il cadavere di quell' infelice in fondo ad un burrone quasi inaccessibile. Giaceva sotto la cascata d'un torrentello. Aveva il cranio fracassato per molte percosse e dello strazio orrendo che fu fatto di quel misero corpo erano evidenti segni le molte ferite prodotte anche con armi perforanti e taglienti nell'addome, nelle gambe, e la mutilazione d'un piede e delle parti genitali. Era ormai chiaro che i cercatori del tesoro avevano inferocito contro quel disgraziato nel modo più selvaggio, e la fantasia, per le accennate tracce, facilmente intravede l’orribile eccidio”. Il verdetto della Corte d’assise di Monteleone fu incredibilmente clemente verso i quattro “gaglioffi”, Cresi falliti a causa del tesoro mai rinvenuto, poiché furono sì giudicati colpevoli, ma condannati a soli dieci anni di carcere. La loro “cieca fede nelle arti magiche” li aveva condotti ad agire in uno stato di “morbosa alterazione mentale”, secondo la valutazione della Corte, circostanza che diminuiva la loro imputabilità e che, avendo trovato attestazione nel verdetto dei giudici, confermava, era questo il commento conclusivo di Seghieri, la presenza del “medioevale pregiudizio” sull’esistenza di sortilegi e stregonerie.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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